Estate

Arte e fede per scoprire la bellezza

Inaspettati e sorprendenti itinerari turistici: quando la cultura incontra la sacralità. Le proposte dell'Ufficio beni culturali ed ecclesiastici

L’Italia è tutta bella. Così recita una frase ripetuta talmente tante volte da trasformarsi lentamente in detto che poi, a sua volta, si è evoluto in luogo comune. Eppure noi abbiamo scoperto di essere grandi amanti dei luoghi comuni. Sarà perché hanno quel sapore di leggenda che “in fondo in fondo ha sempre un po’ di verità:”. E quanta verità c’è in  questa frase d’apertura?

Sarà perché quando si tratta di bellezze nostrane, non possiamo negare l’evidenza. Sarà perché le bramate ferie estive ci stanno chiamando da lontano al grido di “preparati che stiamo arrivando!”.

E dunque, se abbiamo la scusa del luogo comune, la scusa dell’arrivo delle ferie, non possiamo non rincarare la dose con “L’Italia è tutta bella. Sì, ma casa nostra un po’ di più”.

Casa nostra, la nostra Diocesi. Quella che nei suoi territori custodisce meraviglie che meritano di essere scoperte, quella che offre naturalmente paesaggi, culture, tradizioni, storie, luoghi d’arte e di inestimabile bellezza, tutto ciò che serve per creare un più che soddisfacente itinerario per le proprie vacanze estive.

E così come Shakespeare, nel prologo dell’Enrico V, chiedeva ai lettori di lavorare di immaginazione per meglio immedesimarsi nella narrazione, così anche noi, senza pretesa di paragone, vi preghiamo di sforzarvi di vedere con la mente i luoghi qui di seguito elencati, tanto da sentirvi già in viaggio, quel viaggio che ci auguriamo deciderete di intraprendere anche materialmente.

Se quando si sceglie una meta ci si blocca immediatamente al fatidico bivio mare/montagna, cultura/relax, eccoci subito pronti con la soluzione per voi: perché non tutto?

Già. Tutto. Perché è questo quello che la nostra Diocesi ci regala. 

Ma immaginiamo per un attimo di essere arrivati al primo giorno delle nostre desiderate ferie. 

Il caldo afoso, il sole cocente, la voglia di mandare in ferie anche cravatte e décolletés, necessità di freschezza e rigenerazione. Sarà mica subito il turno di Civitavecchia e Tarquinia?

Le due città principali della Diocesi godono della presenza del mare e di zone più bucoliche, dove potersi certamente permettere dei momenti di svago e rilassatezza, ma è la loro storia a renderle affascinanti, una storia che si intreccia con la grande ricchezza artistica, diversa a seconda dell’epoca a cui ci riferiamo. La forza di queste due città è racchiusa proprio in questo: essere state forgiate da più popoli ed aver subìto modifiche nel corso dei secoli, perfettamente in linea con gli sviluppi artistici del momento.

Santa Maria dell’orazione e morte

Civitavecchia, conosciuta ai più essenzialmente per il porto, nasconde tesori del tutto inaspettati. Certo è che se iniziamo il nostro viaggio nella “bella città d’incanto”, nonostante quanto appena scritto, una visita al porto stesso, quello del  maestoso cinquecentesco Forte Michelangelo, quello storico, quello costruito per volere dell’Imperatore Traiano, progettato da Apollodoro di Damasco,  è d’obbligo. Lo è per iniziare a respirare l’aria tipica che qui si respira, fatta di salsedine, di storie narrate dai pescatori, o forse di storie sì avvenute, ma mai tramandate. Storie che rimandano ad un passato di fasti e che scivolano verso epoche buie, fatte di perdite e bombardamenti.

Storie che automaticamente ci portano a visitare i luoghi più meritevoli della città: dalle Terme Taurine, per un tuffo nell’archeologia romana; alle antiche Terme della Ficoncella, per un altro tuffo nel passato e, perché no, anche per un tuffo reale nelle vasche dalle innumerevoli proprietà benefiche; il Museo Archeologico Nazionale, per un assaggio di storia etrusca e di nuovo romana, con sfumature di ‘700 se si considera il palazzo che lo ospita, voluto da Papa Clemente XIII; il centro storico, alla scoperta della parte più medievale a cui segue quella immediatamente successiva, quella più sacra. Mura antiche, vicoli, archetti, ma soprattutto chiese. 

La chiesa della Stella che si affaccia su Piazza Leandra, cuore del medioevo civitavecchiese, piccola e antica, sede dell’Arciconfraternita del Gonfalone, la chiesa da dove “esce e rientra” la processione del Venerdì Santo, spettacolo unico di questa città. Conserva statue lignee di un certo valore artistico e storico, come quella della Madonna delle Grazie e quella della Vergine Maria. 

Ma subito sopra Piazza Leandra, ecco aprirsi Piazza Saffi che gode della presenza dell’altra chiesa più antica della città: la chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte che risale al 1685 e che deve il suo nome al legame con la Confraternita dell’Orazione e Morte che operava per dare degna sepoltura e suffragio ai defunti abbandonati fuori le mura cittadine e a quelli dispersi in mare.

La perla della città, sotto il suo profilo storico, architettonico ed artistico. Conserva opere di prestigio e si articola al suo interno in una pianta centrale con cappelle simmetriche, tra le quali non si può non citare la “Cappella Guglielmi” per gli splendidi affreschi che rivestono le sue pareti.

Infine, tornando verso il porto, la Cattedrale di Civitavecchia, opera di Francesco Navone che la concluse sul finire del ‘700. Dedicata a S. Francesco d’Assisi, anch’essa racchiude in sé opere di grande pregio, distribuite tra le varie cappelle, simmetriche e laterali all’unica sua navata centrale. 

É con questa chiesa che ci si immerge completamente nel barocco civitavecchiese.

Se parliamo di chiese, tuttavia, va da sé il collegamento con Tarquinia. 

Sì, caro lettore, ci stiamo spostando! 

Santa Maria in Castello (T. Crescia)

Tarquinia, quella che tutti conoscono per la sua storia scritta dagli Etruschi, quella famosa per la sua splendida necropoli, o per il grandioso Museo Archeologico Nazionale, un vanto della Tuscia. Eppure l’antica Corneto non è fatta solo di questo e spesso si dimentica quanto sia bello anche solo perdersi nei vicoli del centro storico per assaporare un medioevo ancora vivo che si tocca con mano casa per casa, muro per muro, stemma per stemma, chiesa per chiesa, torre per torre, fino a raggiungere esempi di barocco e stile neoclassico.

Se venne chiamata “città delle chiese e delle torri”, per il gran quantitativo di entrambe, si capirà e perdonerà questa penna (…questa tastiera!)  se ometterà la maggior parte di esse, riferendosi solo a quelle più importanti e ricche di fascino. 

Come non iniziare il nostro itinerario tarquiniese con la chiesa di Santa Maria in Castello? 

Risalente al 1121, in puro stile romanico, con elementi architettonici pisani e lombardi, arricchita da un sensazionale esemplare di mosaico cosmatesco pavimentale e di rivestimento degli arredi liturgici e delle strutture in facciata, domina la rupe della città. É qui che sorse il castrum corgnetum, col nucleo abitativo primordiale, e fu proprio qui che si volle l’erezione di quella che fu la cattedrale fino al 1435.

Una storia travagliata la sua, che la rende ancora più affascinante e misteriosa, con le sue iscrizioni più o meno nascoste, le pareti in macco spoglie e quasi dorate, a contrasto col nenfro scuro dei capitelli sui quali sono scolpiti motivi vegetali ed esseri derivanti dal repertorio dei bestiari medievali, a raccontare l’eterna lotta tra bene e male. Aquile. Serpenti. Sirene. 

Ombre. Luci. Quelle che cambiano ogni minuto e che ogni minuto ci fanno scoprire un dettaglio che un secondo prima era rimasto nascosto. Una storia fatta di abbandono, di sconsacrazione e riconsacrazione. Fino ad oggi. Ancora lì, forte e magnifica, pronta ad essere nuovamente vissuta da chi vorrà perdersi nella meraviglia che rappresenta.

Potrebbe bastare. No. Perché Tarquinia conserva ancora altre chiese medievali che ci trasportano in un’altra dimensione. E così, lasciandoci alle spalle “Castello” e oltrepassando l’arco del Torrione di Matilde di Canossa, eccoci pronti ad avventurarci nelle strette strade del borgo, alla scoperta della Chiesa dell’Annunziata, la chiesa di San Martino, la chiesa di San Giovanni Gerosolimitano, per citarne solo alcune. Così da qui ci volgiamo alla scoperta di una nuova epoca, quella barocca, che vive nella chiesa del Suffragio nella piazza del Comune, ma soprattutto il neoclassico del Duomo di Tarquinia, la concattedrale, dedicata ai Santi Margherita e Martino. 

Sarebbe un grave errore non ricordare la sua origine medievale, ormai invisibile a seguito dei numerosi rimaneggiamenti avvenuti nel corso dei secoli, prima per volere del vescovo Bartolomeo Vitelleschi, poi a seguito di un incendio nel 1643 ed infine nel XIX secolo, nelle fattezze che apprezziamo tuttora. Per quanto sarebbe interessante una visita guidata virtuale in questo grande monumento, ci soffermiamo sul più importante tesoro che ospita al suo interno, nella zona absidale: i meravigliosi affreschi di Antonio del Massaro, detto “Il Pastura” il quale, nel XVI sec., dipinge magistralmente le pareti e la vòlta con Storie della Vergine. 

Un breve cenno merita anche la presenza, sulla cantoria in controfacciata, del meraviglioso organo a canne del 1879, firmato Morettini, il quale sarà oggetto di restauro conservativo a partire da Settembre 2022, per restituirgli ciò di cui ha bisogno per tornare a suonare come un tempo.

Ma Pastura non lavorò solo per il Duomo. Abile autore di pittura su tavola, ci ha lasciato opere di grande valore, prima tra tutte “La Madonna del Latte” che è custodita in una delle undici sale del MAST Carlo Chenis- Museo di Arte Sacra di Tarquinia. Come intuibile, il nostro viaggio cornetano non è ancora concluso. Non prima almeno di esserci recati in quello che fino al 1986 fu il palazzo vescovile della nostra Diocesi e che poi venne trasformato in museo. Oltre alle bellezze artistiche da apprezzare sala per sala, è il palazzo stesso ad essere meritevole d’attenzione, perchè la sua struttura è rinascimentale, ma ingloba preesistenze medievali, perché ciò che oggi vediamo è il risultato della volontà del vescovo Aldovrandi che nel 1737 ne dispose ampiliamento, ristrutturazione e decorazione con meravigliosi affreschi e soffitti egregiamente dipinti. 

Al suo interno opere che abbracciano un arco temporale che va dal XII sec – da citare la bellissima Tavola del Salvatore, opera più antica della struttura- fino al XIX sec, passando per il XVI sec. con le numerose tele che, a partire dallo stesso secolo, abbracciano tutto questo lungo arco temporale, o con le già menzionate pitture su tavola del Pastura (ma anche dell’altro grande maestro, Monaldo Trofi), senza tralasciare poi gli esemplari di oreficeria, con la prestigiosa manifattura dei reliquiari risalenti al XV sec. e le sculture di scuola viterbese del XVI sec. 

Impossibile non visitare il museo, impossibile non proseguire nel nostro itinerario immaginario. Tant’è che se parliamo di copertura di un lungo arco temporale, di preesistenze sia etrusche che romane, di calma e respiro antico, è naturale spostarsi ed incontrare un altro paese in cui il tempo sembra essersi fermato: Monte Romano. 

Monte Romano, Fontana del Mascherone

Circondato dal verde che gli permette di discostarsi completamente dal caos cittadino, ci riporta ad una vita e ad un modo di vivere lontano dai ritmi a cui siamo oggi abituati. È dalla piazza centrale che si sviluppa tutto il centro abitato, con richiami e monumenti che testimoniano la sua storia già attestata nel XIV secolo. Ma le testimonianze più incisive sono quelle che ricalcano la sua vocazione prettamente agricola, con quelle strutture ancora esistenti, sedi degli antichi granai, o le tipiche case-bottega. Il tutto concorso a creare un borgo medievale atipico, sviluppato in lunghezza e con la presenza di architetture risalenti al ‘600 e al ‘700, momento in cui avviene il suo ampliamento più significativo. La bellissima Fontana del Mascherone, con le sue tre maschere che tanto ricordano quelle delle fontane romane, la struttura delle Carceri con la Torre dell’Orologio, atipica anch’essa, data la facciata a quattro quadranti che raramente vediamo nel centro Italia, la piccola chiesa della Madonna Addolorata –la chiesa vecchia-, quella che poi risultò essere troppo piccola per accogliere una nuova popolazione numericamente incrementata. Ecco allora la costruzione della nuova chiesa del S. Spirito, inaugurata nel 1763, che conserva opere pregiate, quali la pala d’altare con la rappresentazione della Pentecoste, le numerose pale d’altare d’ambito viterbese ed un gioiello musicale posto ad occupare la cantoria: l’organo a canne del 1775, realizzato dal grande maestro Werle, talmente grande da essere richiesto in numerose chiese dello Stato Pontificio. Un borgo con una tradizione rurale ancora forte e presente, che nasconde fiori all’occhiello che sarebbe un vero peccato non scoprire.

Per gli appassionati dei collegamenti e dei confronti, abbiamo pane per i vostri denti.

Montalto di Castro

Montalto di Castro, così come le nostre ultime due tappe, abbraccia un arco temporale piuttosto vasto e gode non soltanto di un territorio ampio e di un diversificato paesaggio (utile ad ogni necessità turistica), ma anche di una storia intensa. Salta subito all’occhio la sua origine medievale, nel centro storico, con gli archi a sovrastare piccoli vicoli, le piccole piazze, le antiche mura, i palazzi storici. Una storia fortemente legata a famose famiglie nobiliari italiane che si contesero la città e che hanno lasciato tracce ancora visibili, come gli Orsini (XV sec.), ai quali si deve la costruzione di palazzo Guglielmotti, o i Farnese (1535) che la dominarono quando la città entrò nel Granducato di Castro, periodo durante il quale venne eretto Palazzo Funari. Una storia che la fa poi tornare nel ‘600 nelle mani dello Stato Pontificio. Sarebbe interessante confrontare, durante il nostro viaggio, il medioevo ed il rinascimento di questo comune con quello di Tarquinia o di Monte Romano. Così come sarebbe interessante proseguire di secolo in secolo con questi stessi confronti ed arrivare al ‘700 e scoprire che la chiesa di Santa Maria Assunta, la chiesa principale, in stile neoclassico, fu progettata da quel Francesco Navone che fu progettista della cattedrale di Civitavecchia ed è evidente quanto queste due chiese siano frutto della stessa mente creativa, giudicate voi stessi!

La chiesa è abbellita da notevoli affreschi del XVIII secolo e custodisce le reliquie dei Santi Patroni Quirino e Candido. Da citare anche la chiesa di Santa Croce, con la sua spiccata facciata neoclassica, che conserva al suo interno il pregevole dipinto raffigurante “La Madonna della Vittoria”.

La storia ci porta a parlare di Pescia Romana, così ampiamente conosciuta per la meraviglia delle sue spiagge e della sua natura incontaminata, venne annessa, relativamente a quello che fu il Borgo Vecchio,  a Montalto nel Settecento. Doveroso un passaggio in questa frazione se si vuole approfondire un conoscenza storica più vicina alla nostra epoca, col sapore della comunità rurale, quella del Borgo Nuovo risalente alla metà del ‘900, quando viene eretta anche la particolare chiesa di S. Giuseppe Operaio, con la sua pianta esagonale. 

Le sorprese di Montalto proseguono, soprattutto se gli Etruschi a Tarquinia vi hanno creato dipendenza, poiché il comune può vantare la presenza, nei suoi territori, di Vulci con il suo meraviglioso parco naturalistico archeologico. 

Questo spaccato della nostra Diocesi ne ha davvero per tutti i gusti.

E se i vostri gusti si discostano dal mare appena menzionato, abbiamo la soluzione anche per voi con le nostre ultime tappe che ci catapultano al fresco, sui monti.

Tolfa

Ci spostiamo a Tolfa dove non soltanto la sua storia rimanda in parte ad evidenze etrusche, ma addirittura ancora indietro, fino all’età della pietra, del rame, del bronzo e del ferro.

Tolfa gode di meravigliosi paesaggi immersi nel verde, con i suoi boschi dove poter praticare rigeneranti passeggiate, ma anche qui, il suo borgo antico merita una visita che vi porterà ad ammirare le architetture civili degli splendidi palazzi, come Il Palazzaccio (antica sede del comune) con la Torre dell’Orologio, l’ottocentesco Palazzo Comunale, con il giardino che originariamente fu orto botanico, fino ad arrivare alla famosa Rocca dei Frangipane, con cui il nostro sguardo torna al medioevo, stavolta tutto tolfetano. Accanto ad essa la bellissima e medievale chiesa della Madonna della Rocca, con la sua elegante facciata bìcroma, la chiesa più antica del paese, insieme alla chiesa principale, quella dedicata a Sant’Egidio Abate,  che divenne Collegiata nel 1588 e grazie alla quale riusciamo a proseguire nel nostro itinerario fatto di confronti, se consideriamo la presenza, al suo interno, di un Cristo Benedicente attribuito a quel Pastura di cui tanto abbiamo parlato in merito a Tarquinia. Da segnalare anche la presenza di una tela di S. Egidio Abate del 1636, il dipinto su tavola raffigurante il Cristo Salvatore su una nuvola ed un busto dorato raffigurante il santo cui è dedicato questo luogo sacro. Tutte opere, queste, che un occhio curioso e attento al bello non può lasciarsi sfuggire. Quel bello che si scorge anche nei conventi qui eretti: quello dei Cappuccini e quello dei Padri Agostiniani, quest’ultimo annesso alla Chiesa della Madonna della Sughera, la cui costruzione risale al XVI secolo. Anche Tolfa regala interessanti spunti culturali, mentre a passeggio tra le sue vie, al passo con una calma e genuina quotidianità paesana (nell’accezione quanto più positiva del termine), ci si ritrova magicamente di fronte a scorci sempre nuovi e sorprendenti. 

Allumiere

Ma rimaniamo ancora sui Monti della Tolfa per fare un salto ad Allumiere.

Il piccolo centro che vede la sua storia legata alla scoperta, nel XV secolo, del minerale di allume cui deve il nome. Quell’allume che comportò lo sviluppo del centro abitato per i minatori che qui si trasferirono. Oltre alle antiche case, nel caratteristico borgo, si possono ancora ammirare il Palazzo della Reverenda Camera Apostolica che fu eretto nel XVI secolo per dare prestigio ad una zona mineraria così importante e proficua, affinché fosse alloggio dell’appaltatore delle miniere e sede ospitante di importanti personalità ecclesiastiche di passaggio. Oggi è sede del Museo Civico Klitsche de La Grange.

Anche Allumiere regala un particolare itinerario “sacro”, con cui ci riferiamo non solo alla sede della parrocchia del paese, la seicentesca chiesa di S. Maria Assunta in Cielo, ma anche agli affascinanti santuari. Il Santuario della Madonna delle Grazie, punto di arrivo della processione che si svolge in onore della compatrona, fu costruito su un’antica cappellina risalente al XV-XVI secolo e proclamato Santuario nel 1987 da San Giovanni Paolo II. La statua della Madonna ivi custodita, e venerata già dalle origini, venne solennemente incoronata dal Santo proprio in quell’occasione.   

Di epoca medievale, invece, il Santuario della Santissima Trinità, immerso nella calma della natura, ha subìto opere di recupero che lo hanno restituito alle visite degli interessati.

Il verde che caratterizza questa zona, trova la sua massima potenza espressiva nel bosco del Faggeto, un luogo che sembra essersi materializzato dalle pagine di una fiaba.

Al termine del nostro corposo viaggio, con lo sforzo d’immaginazione già richiesto, ci sediamo ai piedi di un faggio, col vento fresco a riconciliarci con un immenso Creato e con i nostri avi dalle mani sapienti, per aiutarci a imprimere nella nostra mente la bellezza dei luoghi, quell’eredità che ci è stata lasciata e che con orgoglio possiamo dire essere “casa nostra”.

Rachele Giannini
Ufficio Beni culturali ed ecclesiastici