“Com’è dolce, Signore, abitare la tua casa!” (Salmo 84,2)

Ai miei fratelli
nel sacerdozio ministeriale e battesimale
della Chiesa di Civitavecchia-Tarquinia

 
Cari amici,

continuiamo la riflessione sulla Chiesa iniziata in Avvento-Natale, in vista del 20 maggio, giorno in cui ricordiamo il 235° anniversario della Dedicazione della nostra Chiesa Cattedrale, la Chiesa madre, simbolo di unità dell’intera comunità cristiana.
Il fare memoria non ha e non deve avere il solo scopo di celebrare l’avvenimento, bensì riappropriarci, in una vita cristiana rinnovata, la nostra identità di figli di Dio: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).
Tertulliano, scrittore ed apologeta (155-230), testimonia che i primi cristiani prendevano queste parole di Gesù così sul serio tanto che i pagani, ammirati, esclamavano: “Guardate come si amano!” (Apologia 39).
E li descriveva così: I cristiani non si differenziano dagli altri uomini… abitano  nella propria patria come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini… ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera. Come tutti si sposano ed hanno figli, ma non ripudiano i loro bambini… vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati… Sono poveri e rendono ricchi molti… i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo… abitano in questo mondo, ma non sono del mondo… sono come dei pellegrini che viaggiano tra cose corruttibili, ma attendono l’incorruttibilità celeste” (cfr Lettera a Diogneto, V e VI).
Illustra così la vita di questa comunità, capace di cambiare il mondo mediante il cambiamento del cuore. E’ l’unico modo di appartenere a Cristo. E’ l’unico modo di evangelizzare, aiutando Dio a cambiare il cuore dell’umanità.

Chi è la Chiesa? 

Nell’A.T. Israele è il popolo che Dio si è scelto ed ha eletto sua assemblea santa; è un  popolo monoteista, a differenza degli altri popoli allora conosciuti che hanno più divinità, nonostante i molteplici tradimenti idolatrici che, lungo la sua storia, si riscontrano.
Israele è popolo che soggiorna in Egitto fino ad esserne oppresso, è popolo dell’esilio in più luoghi e in tempi diversi, è popolo pellegrino alla ricerca di una terra ospitale, quella promessa dal suo Dio ma duramente conquistata con morte, sofferenze e fatiche di ogni genere.
E’ popolo dell’alleanza, è scelta gratuita di Dio, preparata con Abramo, Isacco e Giacobbe e rinnovata più tardi con Davide; è popolo che Dio ama come figlio primogenito e, nella visione profetica, è sposa infedele e ribelle, alla quale lo Sposo rimane fedele, e la circonda di ogni tenerezza.
Con la venuta di Gesù e l’annuncio del messaggio evangelico anche ai pagani, l’appellativo di popolo di Dio si è esteso a tutti gli uomini che accolgono Gesù Cristo, Figlio di Dio, rivelatore del Padre e Redentore dell’uomo.
Perciò tutti coloro che, nella fede aderiscono a Gesù Cristo sono la “Chiesa di Dio” (cfr 1 Cor 1,2; 10,32; 11,22; 2 Cor 1,1), la santa assemblea, convocati per stare insieme, uomini e donne che sono “una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).
Chiamati da Gesù per stare insieme nell’ascolto della Parola, per celebrare l’Eucaristia, per essere unico corpo visibile di Cristo saldato dall’amore fraterno: questa è la comunità cristiana.
La Sacra Scrittura dipinge la Chiesa con molte immagini: è ovile di cui Gesù è la porta unica e necessaria per entrare avendo donato per essa la sua vita (cfr Gv 10,1-15);
è podere-campo dove cresce l’antico olivo (cfr 1 Cor 3,9) e l’Agricoltore coltiva la Vite che dà alimento ai tralci per portare frutto (cfr Gv 15,1-5);
è edificio-tempio-casa costruita sulla pietra fondamentale Gesù Cristo, la roccia che regge saldamente la sua famiglia (cfr Mt 21,42; At 4,11; 1 Pt 2,7); 
è sposa dell’Agnello immacolato (cfr Ap 19,7; 21,2.9; 22,17), amata e nutrita dallo Sposo e a cui ha dato se stesso in modo irrevocabile (cfr Ef 5,25-29);
è madre – Gerusalemme che sta in alto, libera e donata a quelli che scelgono il Figlio (cfr Gal 4,26).
La Chiesa, annunciata da Gesù come “regno di Dio”, nasce dal dono totale di Cristo,  anticipato nella cena pasquale e realizzato sulla croce (CCC 763-766): “dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa” (SC 5);
è la nuova Eva nata dal cuore trafitto di Gesù, secondo una felice immagine di Sant’Ambrogio (vescovo di Milano, IV secolo).
Il giorno di Pentecoste, con il dono dello Spirito Santo, la Chiesa si manifesta “alla moltitudine delle genti” (AG 4) e intraprende il suo pellegrinaggio tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio (LG 8) verso “il pieno compimento nella gloria del cielo” (LG 48).
La Chiesa quindi è nella storia, inserita cioè nel tempo e nello spazio perché fatta da uomini che, nella libertà e nella verità, accolgono e credono il Vangelo.
Ma è anche una realtà trascendente, cioè va vista “con gli occhi della fede”: la Chiesa è di Gesù Cristo e vive solo in lui: “La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1).
E’ sacramento dell’intima unione degli uomini con Dio ed è anche segno dell’unità del genere umano.
E’ strumento di Cristo, “strumento di Redenzione per tutti” (LG 9), “strumento universale della salvezza” (LG 48) perché tutti siano unico popolo, corpo di Cristo, edificato dallo Spirito Santo.
Perciò, nello stesso tempo, la Chiesa è umana e divina, comunità che si vede ma è anche spirituale, è fervente nell’azione ma anche dedita alla contemplazione, guidata dagli uomini ma animata dallo Spirito che distribuisce i doni gerarchici e carismatici per la testimonianza missionaria.
“La Chiesa è in movimento, è dinamica, aperta, con davanti a sé prospettive di nuovi sviluppi… non è congelata in schemi: accade sempre qualcosa di sorprendente, perché possiede una dinamica intrinseca capace di rinnovarla costantemente… La Chiesa è viva e trabocca di nuove possibilità” afferma il Papa emerito a proposito dell’elezione del suo successore.
(Benedetto XVI, Ultime conversazioni, p. 43).

 
Ministeri e carismi nella Chiesa 

La Chiesa essendo popolo di Dio, corpo visibile di Cristo, nazione santa è quindi formata da molte membra, unite tra loro ed insieme armonizzate per manifestare la bellezza dell’unità.
Si diviene membri non per la nascita fisica né per tradizione religiosa, ma per la “nascita dall’alto”, “dall’acqua e dallo Spirito Santo” (Gv 3,3-5) cioè mediante la fede in Gesù Cristo e il Sacramento del Battesimo.
Questi hanno come Capo Gesù Cristo, il Consacrato dallo Spirito Santo, la cui unzione raggiunge tutti rendendolo popolo messianico; dona loro dignità e libertà nello Spirito, (cfr Rm 8,2; Gal 5,25) e affida la missione di essere sale della terra e luce del mondo (cfr Mt 5,13-16).  
Per l’unzione dello Spirito Santo, questo Popolo di Dio partecipa alle tre funzioni di Cristo Sacerdote, Re e Profeta e condivide la responsabilità della missione e del servizio (cfr Giovanni Paolo II, enciclica Redemptor hominis, 18-21).
Ha una vocazione sacerdotale: grazie al sangue di Cristo, tutti sono costituiti in regno sacerdotale per offrire la propria esistenza come sacrificio gradito a Dio (cfr LG 10);
ha una vocazione regale: come Cristo si è fatto servo di tutti, anche per il cristiano regnare è servire Cristo (cfr LG 36), soprattutto nei poveri e nei sofferenti;
ha una vocazione profetica: fedeli laici e gerarchia sono testimoni di Cristo e lo annunciano con la loro esistenza (cfr LG 12).
Il 15 maggio 2015 la Congregazione per la Dottrina della Fede, su mandato di Papa Francesco, ha pubblicato una lettera dal titolo La Chiesa ringiovanisce sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa. Entrambi i doni sono coessenziali alla vita della Chiesa (cfr IE 10); i doni gerarchici sono conferiti dal sacramento dell’ordinazione (episcopale, presbiterale, diaconale), mentre quelli carismatici vengono distribuiti liberamente dallo Spirito Santo.
Per questo i carismi sono dono, gratuità, grazia.
“I carismi nella Chiesa, non sono qualcosa di statico e di rigido, non sono “pezzi da museo”. Sono piuttosto fiumi di acqua viva (cfr Gv 7,37-39) che scorrono nel terreno della storia per irrigarla e far germogliare semi di bene” (Papa Francesco, Messaggio ai partecipanti al simposio sulla gestione economica degli istituti di vita consacrata, 25-27 novembre 2016).

 

Ed è l’unico Spirito Santo che distribuisce il dono dell’istituzione e il dono della carità, in quanto nella Chiesa le istituzioni essenziali sono carismatiche e i carismi devono istituzionalizzarsi per avere coerenza e continuità; hanno la stessa origine e lo stesso scopo: sono doni di Dio, dello Spirito Santo, di Cristo, dati per contribuire in modi diversi, all’edificazione della Chiesa  (cfr IE 8).
L’uno ha bisogno di relazionarsi con l’altro: mentre quello gerarchico è funzionale nel distribuire la grazia, nel riconoscere il carisma ed accoglierlo nella Chiesa, il dono carismatico vive per la santità battesimale.
Occorre anche affermare la stabilità e l’irrevocabilità dei doni gerarchici, a differenza di quelli carismatici che, nelle loro forme storiche, non sono mai garantiti per sempre, sebbene la dimensione carismatica non può mai mancare alla vita e alla missione della Chiesa (IE 13).
Si può applicare alla Chiesa, quanto Papa Francesco spesso afferma del poliedro, di questa figura geometrica: è uno ma ha facce differenti. L’unità si fa conservando la propria identità e condividendo la propria ricchezza. I movimenti, le associazioni, i gruppi ecclesiali sono i molti volti che devono dare espressione all’unità della comunità cristiana, all’unità della Chiesa.

 

E’ indispensabile sviluppare sempre più un’ecclesiologia di comunione perché i diversi carismi abbiano a trovare unità e la missione evangelizzatrice della Chiesa abbia credibilità ed accoglienza.  
Ma vivere la comunione, la fraternità è una esperienza stupenda e faticosa insieme, perché la comunità, luogo di condivisione e di comunione è tuttavia luogo di scoperta dei nostri limiti.
Quando si vive da soli ci si può anche illudere di essere capaci di amare, ma vivendo insieme ci si rende conto di quanto sia faticoso l’amore, di come siano frequenti le incomprensioni e le divisioni a causa dei nostri limiti e dei nostri peccati.
La fraternità non si fonda sulla pretesa della perfezione, ma si confronta con la fragilità e il peccato. Così il perdono fraterno è il frutto del lasciarsi completamente avvolgere dall’azione misericordiosa di Dio.
Il fondamento del mio rapporto con l’altro è imitazione del rapporto che Dio ha con me: “non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?” (Mt 18,33).

 
I ministeri a servizio della comunità 

  • Il ministero ordinato.
E’ quello che scaturisce dal Sacramento dell’Ordine per compiere la missione che Gesù ha affidato agli Apostoli e che la Chiesa custodisce e tramanda sino alla fine dei tempi. Si articola in tre gradi: l’episcopato, il presbiterato, il diaconato.
Vescovo: il suo ministero scaturisce da una speciale effusione dello Spirito Santoche lo consacra nel sommo sacerdozio ed ha la successione che risale all’origine, possedendo i tralci del seme apostolico (cfr LG 20-21 e CCC 1555-1557).
La consacrazione episcopale conferisce al candidato l’ufficio di santificare, di insegnare e di governare in modo particolare la Chiesa che gli è stata affidata dal Vescovo di Roma, ma nello stesso tempo porta collegialmente, con tutti i fratelli nell’episcopato, la sollecitudine per tutte le Chiese (cfr LG 22; CHD 2, CCC 1558-1560).
Una sintesi molto attuale e pastoralmente valida l’offre Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “Il Vescovo deve sempre favorire la comunione missionaria nella sua Chiesa diocesana perseguendo l’ideale delle prime comunità cristiane, nelle quali i credenti avevano un cuore solo e un’anima sola (cfr At 4,32). Perciò, a volte si porrà davanti per indicare la strada e sostenere la speranza del popolo, altre volte starà semplicemente in mezzo a tutti con la sua vicinanza semplice e misericordiosa, e in alcune circostanze dovrà camminare dietro al popolo, per aiutare coloro che sono rimasti indietro e – soprattutto – perché il gregge stesso possiede un suo olfatto per individuare nuove strade. Nella sua missione di favorire una comunione dinamica, aperta e missionaria, dovrà stimolare e ricercare la maturazione degli organismi di partecipazione proposti dal Codice di diritto canonico e di altre forme di dialogo pastorale, con il desiderio di ascoltare tutti e non solo alcuni, sempre pronti a fargli i complimenti. Ma l’obiettivo di questi processi partecipativi non sarà principalmente l’organizzazione ecclesiale, bensì il sogno missionario di arrivare a tutti” (EG 31).
Presbiteri: essi sono strettamente uniti all’Ordine episcopale, sono necessaricooperatori del ministero del Vescovo; sono consacrati dall’unzione dello Spirito Santo e segnati da uno speciale carattere che li configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di Cristo Capo (cfr LG 28; PO 2; CCC 1562-1563).
“I presbiteri, saggi collaboratori dell ordine episcopale e suoi aiuto e strumento, chiamati al servizio del Popolo di Dio, costituiscono col loro vescovo un unico presbiterio, sebbene destinato a uffici diversi. Nelle singole comunità locali di fedeli rendono, per così dire, presente il vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande, condividono in parte le sue funzioni e la sua sollecitudine e le esercitano con dedizione quotidiana” (LG 28).
I sacerdoti non possono esercitare il loro ministero se non in dipendenza dal vescovo e in comunione con lui. La promessa di obbedienza che fanno al vescovo e il bacio di pace che scambiano con lui al termine della liturgia di ordinazione, significano che il vescovo li considera come suoi collaboratori, suoi figli, fratelli e amici, e che, in cambio, essi gli devono amore e obbedienza (cfr CCC 1567).
I presbiteri infine sono tutti tra loro uniti da intima fraternità sacramentale e nella diocesi essi formano un unico presbiterio. La vita fraterna è il frutto della duplice azione dello Spirito Santo che distribuisce i diversi carismi e infonde nel cuore dei sacerdoti la carità pastorale. La vita fraterna è il risultato della carità di tutti, ma anche dell’umiltà e del sacrificio di ciascuno; e questo dono essi devono fare alla comunità cristiana testimoniando una fraternità concretamente vissuta e  facendo del loro servizio pastorale un segno credibile di comunione.
Scegliere di seguire Cristo, individualmente, per entrare in una comunità, quella presbiterale, vuol dire cominciare a vivere insieme. Nasce quindi una comunità intorno a Cristo ed una fraternità di uomini tra loro. Ciò che determina però il vivere insieme non è la decisione di condividere la vita, ma l’aver scelto di seguire la stessa Persona, Gesù Cristo. E’ Gesù che genera la comunità, è l’ascolto della Parola del Signore che li unisce e li chiama alla sua sequela.
Diaconi: sono coloro ai quali sono imposte le mani “non per il sacerdozio, ma per il servizio” (LG 29; CD 15). Nella ordinazione del diacono infatti solo il vescovo impone le mani per indicare che il diacono è legato in modo speciale al vescovo nei compiti della sua diaconia: così si esprime Ippolito romano (Traditio apostolica, 8).
I diaconi sono configurati a Cristo-servo obbediente, umile, mite, partecipando alla sua missione e alla sua grazia, per il servizio dell’azione liturgica e la diaconia della carità.
Tutto questo all’interno della Chiesa locale, in spirito di filiale rispetto e obbedienza al vescovo e in un rapporto di comunione fraterna con l’intero presbiterio; aperti ad una missionarietà che ha il suo primato nella evangelizzazione e nella testimonianza della carità.
Un antico ordinamento ecclesiastico Siro ci tramanda la spiritualità del diacono e ne descrive i compiti, tanto da definirlo come “l’occhio della Chiesa”: “Il diacono compie e distribuisce solo ciò che il vescovo gli affida. Egli è il consigliere…è come il simbolo dell’intera Chiesa. Si prende cura dei malati, si preoccupa dei forestieri, è l’aiuto delle vedove. Si interessa paternamente agli orfani ed esce ed entra nelle case dei poveri, per rendersi conto se non vi sia qualcuno sopraffatto dalla paura, dalla malattia o dal bisogno. Visita i catecumeni nelle loro case, per incoraggiare l’indeciso e insegnare all’ignorante. Riveste e adorna i defunti, seppellisce i forestieri, si prende cura di quanti hanno lasciato la loro patria o ne sono stati scacciati. Comunica alla comunità i nomi di coloro che hanno bisogno di aiuto”.
Il Concilio Vaticano II ha ripristinato nella Chiesa latina il diaconato “come un grado proprio e permanente della gerarchia” (LG 29); pertanto può essere conferito a uomini celibi o sposati per il servizio nella e della comunità che il vescovo gli affida.

 

  • I ministeri istituiti o esercitati di fatto nella comunità ecclesiale.  
Ogni cristiano svolge nella Chiesa un ministero, e in questo modo realizza la propria vocazione e contribuisce a costruire il corpo visibile di Cristo. Ciò avviene con l’aiuto che il Signore offre per vivere una vita santa, conforme al battesimo ricevuto, ma si realizza anche visibilmente in un servizio concreto che viene svolto nella comunità a favore dei fratelli.

 

I ministeri istituiti: vengono ufficialmente dati dalla Chiesa, mediante un ritoliturgico, sia per proclamare la Parola durante le celebrazioni, sia per il servizio liturgico dell’altare e la distribuzione della comunione ai fedeli.
Colui che proclama la Parola è il Lettore, a cui il vescovo, consegnandogli il libro dellasacra Scrittura, dice: “Ricevi il libro delle sante Scritture e trasmetti fedelmente la parola di Dio, perché germogli e fruttifichi nel cuore degli uomini”.
Il luogo da cui si proclama la Parola di Dio è l’ambone e la dignità di questo spazio sacro esige che ad esso salga soltanto il ministro della Parola.
Colui che serve all’altare e aiuta il sacerdote e il diacono durante le celebrazioni èl’Accolito, la cui veste liturgica è il camice, e al quale il vescovo consegnandogli la patena con il pane e il calice con il vino, dice: ”Ricevi il vassoio con il pane e il calice con il vino per la celebrazione dell’Eucaristia, e la tua vita sia degna del servizio alla mensa del Signore e della Chiesa”.
L’accolito può aiutare il sacerdote e il diacono nella distribuzione della Comunione, quando necessita il suo aiuto, comprese tutte quelle azioni che riguardano il Santissimo Sacramento dal tabernacolo alla mensa e viceversa, con la purificazione dei vasi sacri e il riordino dell’altare al termine della liturgia eucaristica.
I ministeri istituiti di Lettore e Accolito, almeno fino ad oggi, sono riservati agli uomini, secondo la veneranda tradizione della Chiesa, come afferma il libro Pontificale dell’Istituzione.

 

I ministeri di Lettore e aiuto a distribuire la Comunione – ministro straordinario della  Comunione – possono essere esercitati di fatto da uomini e donne, che di volta in volta, presentandosi l’occasione, sono invitati a proclamare la Parola o ad aiutare il sacerdote e il diacono nella distribuzione della Comunione.
La costituzione liturgica del Concilio Vaticano II afferma: “È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, « stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato » (1 Pt 2,9), ha diritto e dovere in forza del battesimo. A tale piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura nel quadro della riforma e della promozione della liturgia. Essa infatti è la prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano, e perciò i pastori d anime in tutta la loro attività pastorale devono sforzarsi di ottenerla attraverso un adeguata formazione” (SC 14).
 
Il ministero del Catechista è un servizio di annuncio e di testimonianza dentro la comunità.Infatti il catechista è colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio; la custodisce in sé stesso e la sa risvegliare negli altri. E’ un “mediatore che facilita la comunicazione tra le persone e il mistero di Dio e dei soggetti tra loro con la comunità” (Direttorio Generale per la catechesi, 156); è una “persona trasformata dalla fede che, per questo, rende ragione della propria speranza instaurando con coloro che iniziano il cammino un rapporto di maternità/paternità nella fede dentro un’esperienza comune di fraternità” (La Formazione dei catechisti per l’Iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, 19).
Potremmo definire il catechista un accompagnatore ed educatore nel cammino della fede, persona che risponde ad una vocazione a cui la Chiesa lo invita in virtù del battesimo ricevuto e, su mandato del vescovo, lo apre al riconoscimento di una grazia particolare, la quale sostiene il suo servizio ecclesiale (cfr Incontriamo Gesù: orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, 73-78).  
 
Accogliere il dono dello Spirito nel battesimo porta il cristiano ad abbracciare tutta lavita come vocazione; essa è essenzialmente una chiamata alla santità, cioè alla perfezione dell’amore. Occorre pertanto riproporre alle nostre comunità cristiane la “misura alta della vita cristiana ordinaria” (NMI 31) che è vita di carità e di amore, vita di santità. Nasce così il ministero dell’operatore di carità, che prima di essere dispensatore di cibo, di vestiti ed altre forme di necessità verso i fratelli bisognosi, è uomo di amore, di perdono, di accoglienza, di donazione.
“Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla” (1 Cor 13,1-2).
“Con la sua opera educativa la Chiesa intende essere testimone dell’amore di Dio nell’offerta di sé stessa; nell’accoglienza del povero e del bisognoso; nell’impegno per un mondo più giusto, pacifico e solidale; nella difesa coraggiosa e profetica della vita e dei diritti di ogni donna e di ogni uomo, in particolare di chi è straniero, immigrato ed emarginato; nella custodia di tutte le creature e nella salvaguardia del creato” (Educare alla vita buona del Vangelo 24).
 
I Collaboratori-corresponsabili nella pastorale e nei servizi sono coloro che svolgonoun’attività insieme e sotto la responsabilità del vescovo, dei parroci e dei sacerdoti.
La Diocesi e la Parrocchia, non sono tanto dei territori ma delle comunità di fedeli; e per essere comunità vere, devono  esprimere degli strumenti di corresponsabilità, che permettono ai fedeli di partecipare effettivamente alla missione della Chiesa. Per questo sono previsti i Consigli Pastorali diocesano e parrocchiale e i Consigli per gli Affari Economici.
I Consigli Pastorali sono strumenti diretti a favorire la comunione tra il vescovo o il parroco e i fedeli; hanno lo scopo di prestare il loro aiuto nel promuovere l’attività pastorale favorendo la ricerca, la discussione e la presentazione di proposte e di iniziative, rendendosi disponibili a favorire il coordinamento tra le varie realtà esistenti.
Il Consiglio per gli Affari Economici sia in diocesi come nelle parrocchie è l’organismo, prescritto dal canone 537 del CJC chiamato ad esercitare la partecipazione e la corresponsabilità sia nel reperimento delle risorse necessarie, sia nell’amministrazione delle stesse.
Ha il compito di aiutare le molteplici iniziative di bene a svilupparsi in modo ordinato, coniugando l’audacia della carità con la competenza e la prudenza necessarie, favorendo un autentico spirito di famiglia nella comunità cristiana.

 
Conclusione
 

La Chiesa che nasce dal Nuovo Testamento ci presenta alcune figure:
la prima figura è la comunità dei discepoli che camminano insieme a Gesù. Gesù chiama i suoi discepoli mentre cammina lungo il mare di Galilea; chiama uomini che stanno lavorando, sono impegnati nel quotidiano della loro esistenza. Dunque la Chiesa nasce nel mondo. Dove le persone sentono di poter trovare Dio nella Chiesa, verranno anche attirate da essa. Le discussioni autodistruggenti, i dibattiti sulle strutture, le lotte interne e le divisioni settoriali oscurano la vera forma della Chiesa.
Il secondo aspetto è certamente più qualificante: l’iniziativa è tutta nella mani di Cristo. E’ lui che vede e chiama. Chiama gratuitamente perché questi uomini siano discepoli-missionari (cfr EG 120). Gesù Cristo non fa preferenze: chiama quelli che vuole, ama scegliendo e se sceglie me, vuol dire che l’ha fatto perché io mi doni agli altri. Dalla gratuità dell’amore nasce la missione universale, perché se l’amore di Dio è stato gratuito per me, lo deve essere anche il mio amore per i fratelli.
La Chiesa dunque è una comunità di persone gratuitamente amate, che tentano di manifestare l’amore ricevuto, di condividerlo, di portarlo a tutti senza trattenerlo per sé.
 
Alla comunità credente di Civitavecchia-Tarquinia desidero ripetere il messaggio profetico rivolto a Sion: «Abbi fiducia, figlia di Sion, non temere: Ecco, a te viene il tuo re umile…» (cfr Zc 9,9). Viene colui che è presente in ogni luogo e riempie ogni cosa. Viene per compiere in te la salvezza di tutti. Viene colui il quale non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a penitenza (cfr Mt 9,13) per richiamarli dalle vie del peccato. Non temere dunque. Vi è un Dio in mezzo a te, non sarai scossa (cfr Dt 7,21). Accoglilo con le braccia aperte. Accogli colui che nelle sue palme ha segnato la linea delle tue mura e ha gettato le tue fondamenta con le sue stesse mani.
Accogli colui che in se stesso accolse tutto ciò che è proprio della natura umana, eccetto il peccato. Rallègrati, o città madre Sion, non temere, «celebra le tue feste»
(Na 2,1). Glorifica colui che per la sua grande misericordia viene a noi per tuo mezzo. Ma gioisci anche di cuore, figlia di Gerusalemme, sciogli il tuo canto, muovi il passo alla danza. «Rivestiti di luce, rivestiti di luce», gridiamo così con Isaia, «perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te» (Is 60,1).
(Dal «Discorso 9» di sant Andrea di Creta, vescovo, PG 97,1002).
 
E’ l’augurio che rivolgo alla mia Chiesa perché sia una comunità di discepoli-missionari che sanno gioire, vivono la fraternità, sono riflesso di Cristo-luce, amano tutti, sempre.
 
Con la benedizione del Signore,

                                                                 
                                                                                       + don Luigi, vescovo
 

12-03-2017