Un’immagine che inquieta ed affascina


Si sta svolgendo a Torino l’Ostensione della Sindone
Un’immagine che inquieta ed affascina
 
di Tiziano Torresi
 
Si sta svolgendo in questi giorni a Torino l’Ostensione della Sindone. Come preannunciato si tratta di un evento importante e in grado di attirare un enorme numero di pellegrini e fedeli da ogni dove. A tale lunga schiera si assocerà, il 2 maggio venturo, papa Benedetto XVI. L’interesse che suscita la Sindone si può anche misurare dalla sfilza di volumi pubblicati recentemente come pure dai molteplici approfondimenti televisivi dedicati al sacro Lino.
Una cosa dunque è certa: l’Ostensione della Sindone non si può imbrigliare in letture superficiali e non lascia indifferenti. Se infatti è innegabile che una parte del fascino della Sindone risieda nella sua avventurosa, travagliata e misteriosa storia è altrettanto vero che, anche a prescindere dall’autenticazione scientifica, l’immagine d’uomo provato con dolori impressa in quel telo suscita profonde suggestioni. Oggi, mi pare di poter dire, ci è lecito guardare alla storia del culto delle reliquie, attorno alle quali sono pur stati scritti capitoli fondamentali della storia della Chiesa,  e alla loro veridicità con sufficiente serenità e schiettezza; l’incalcolabile numero di frammenti della croce o di pezzi del manto della Madonna o le penne di San Michele arcangelo sono solo alcune delle presunte reliquie che suscitano ormai solo una facile ironia. E d’altro canto la Parola e la Liturgia non cessano, specialmente in questo tempo pasquale, di ricondurci insieme agli apostoli di fronte a ciò che è rimasto, a ciò che resta, reliquia, della vicenda terrena di Gesù di Nazareth: un sepolcro vuoto, il pane e il calice di vino della nuova Alleanza. Se questo è vero, se è vero che gli apostoli desiderosi sin dall’inizio di vedere il volto del Signore cominciarono a credere davvero alle sue parole solo quando l’Assente si manifestò nella loro comunità, cominciarono a riconoscerlo nei segni che operava tra di loro con il suo Spirito di carità invisibile, se è vero che ad Emmaus si aprirono gli occhi dei discepoli solo quando egli scomparve, se insomma è vero che la Chiesa non fonda la propria fede aggrappandosi religiosamente a qualcosa di fisicamente tangibile e di materialmente visibile ma credendo alle parole e alla promessa di una felicità eterna lasciata dal Risorto, come possiamo noi, discepoli del medesimo Signore, porre il nostro sguardo credente sulla Sindone?
Per rispondere vorrei affidarmi a due testimonianze. La prima è di Giuseppe Ghiberti, Presidente della Commissione diocesana per la Sindone di Torino: «Per individuare la scansione dei momenti in cui si forma il rapporto religioso tra chi si affaccia alla Sindone e  questo oggetto misterioso, penso di poter osservare questo processo: l’immagine sindonica presenta un uomo che è morto per la tortura della crocifissione; una lunga tradizione e un’evidenza spontanea orientano l’identificazione di quella sorte con quella del nostro redentore Gesù; nella misura in cui Gesù è una presenza significativa nella mia vita si accende la commozione e l’entusiasmo per questo incontro. Il processo può avere mille varianti, a causa dell’intensità di evidenza che avverto per quella identificazione e soprattutto per i differenti modi con cui mi sento rapportato alla persona di Gesù. Ma certamente Gesù è dall’inizio alla fine il fattore determinante dell’interesse per la Sindone. Se non fosse coinvolta la sua vicenda il mio interesse non supererebbe il grado di compassione per l’enorme sofferenza, l’indignazione per l’incomprensibile crudeltà. Anche i grandi interrogativi che questo reperto pone alle scienze non ne farebbero uscire il discorso dalla cerchia degli addetti ai lavori».
Un’altra riflessione pregnante venne formulata da Giovanni Paolo II nel suo pellegrinaggio a Torino per venerare la Sindone il 24 maggio 1998: «La Sindone è provocazione all’intelligenza. Essa richiede innanzitutto l’impegno di ogni uomo, in particolare del ricercatore, per cogliere con umiltà il messaggio profondo inviato alla sua ragione ed alla sua vita. Il fascino misterioso esercitato dalla Sindone spinge a formulare domande sul rapporto tra il sacro Lino e la vicenda storica di Gesù. Non trattandosi di una materia di fede, la Chiesa non ha competenza specifica per pronunciarsi su tali questioni. Essa affida agli scienziati il compito di continuare ad indagare per giungere a trovare risposte adeguate agli interrogativi connessi con questo Lenzuolo che, secondo la tradizione, avrebbe avvolto il corpo del nostro Redentore quando fu deposto dalla croce. La Chiesa esorta ad affrontare lo studio della Sindone senza posizioni precostituite, che diano per scontati risultati che tali non sono; li invita ad agire con libertà interiore e premuroso rispetto sia della metodologia scientifica sia della sensibilità dei credenti. Ciò che soprattutto conta per il credente è che la Sindone è specchio del Vangelo. In effetti, se si riflette sul sacro Lino, non si può prescindere dalla considerazione che l’immagine in esso presente ha un rapporto così profondo con quanto i Vangeli raccontano della passione e morte di Gesù che ogni uomo sensibile si sente interiormente toccato e commosso nel contemplarla».
Io sono convinto che, anche ignorando del tutto i puntigliosi, controversi e periodici studi sulla Sindone, il credente possa pertanto rintracciarvi una immagine affascinante e verisimile della persona in cui ripone la propria fiducia e la ragione ultima della propria vita: un Crocifisso resuscitato. Affascinante, s’è detto. Ma ripiena di un fascino che può fare tremendamente paura. E allora forse sta proprio qui l’enigma che la Sindone pone alla coscienza di ognuno: siamo disposti ad accettare che il Signore che ci libera e ci salva ha accettato la più ignominiosa tortura? È forse questa l’immagine del Signore che cercavamo? Corrisponde alla nostra umana attesa di bene il corpo piagato e sofferente di un Ecce Homo come mille altri? E non è forse in quelle piaghe che siamo stati redenti? Di fronte a un Dio che accetta di soffrire e di morire per amore, di fronte alla Croce che diventa per la vita di ciascuno la porta stretta e necessaria che dischiude l’accesso al cielo, Giuda preferì vendere l’anima per un pugno di spiccioli, Pietro negò persino di conoscere Gesù, i più se la svignarono. E noi da che parte staremo?