«Un posto ai piedi di Gesù»

La Pasqua di Shahbaz Batti


 
1
di Tiziano Torresi
 
Domenica scorsa, nello splendore della notte pasquale, abbiamo concluso il lungo itinerario della Quaresima: una luce sicura e gentile guida il nostro esodo oltre il peccato, illumina e spiega le Scritture ricapitolando la storia della salvezza; l’acqua del Battesimo è sepolcro dell’uomo che eravamo e fresca benedizione di novità di vita; il banchetto delle nozze dell’Agnello nel cuore della notte è culmine della nostra gioia. In questo giorno di festa, culmine dell’ottava di Pasqua, possiamo rileggere il cammino che ci ha condotti al vertice dell’anno liturgico: una Quaresima, come sempre, ardua ed esigente per la nostra vita di fede ma anche segnata da grandi sconvolgimenti che ci hanno toccati e segnati: il disastroso terremoto in Giappone, la guerra nel Mediterraneo, la tragedia dei profughi, la persistente persecuzione dei cristiani in molte parti del globo. L’enigma di morte e dolore che continua a ferire il tratto di Storia che abbiamo in sorte di percorrere cerca il proprio senso nelle piaghe gloriose di un crocifisso risorto che diventano feritoie di Grazia.    
La storia che vorrei annotare in questa domenica in albis è allora quella di Shahbaz Bhatti. Storia di Passione e dolore, storia pasquale di coraggiosa testimonianza e di fiducioso abbandono alla volontà del Padre. Storia simile a quella di tanti altri crocifissi lungo i secoli sino ai nostri giorni, cristiani la cui esistenza perseguitata sino alla morte, spesso senza notorietà alcuna, proclama: In manus tuas Domine commendo spiritum meum!  
Shahbaz Bhatti (1968-2011) è tra costoro. Ministro federale delle minoranze religiose nel governo del Pakistan è stato assassinato il 2 marzo scorso da un commando armato nella capitale del suo paese, Islamabad. Conosceva il suo destino. All’inizio di quest’anno aveva infatti dichiarato: «Combatterò l’estremismo e mi batterò a difesa dei cristiani fino alla morte». E la morte è arrivata con 30 colpi di arma da fuoco piovutigli addosso dai talebani pakistani del Punjab mentre era nella sua auto di servizio priva di scorta insieme ad una nipote. Lui stesso non aveva voluto uomini per la sua protezione dopo che Salmaan Taseer, governatore del Punjab, era stato ucciso dalla scorta nel gennaio scorso. Era, quest’ultimo, un suo collega di partito ed amico che coltivava il medesimo sogno (un Pakistan rispettoso dei diritti religiosi di musulmani, sunniti, sciti, cristiani, sikh, indù, ismaeliti, bahai’) e lottava per una medesima, fondamentale conquista: l’abolizione della legge sulla blasfemia. Il mite ministro cattolico Bhatti, il solo non musulmano nel governo di un paese complesso ma fondamentale per l’equilibrio geopolitico dell’area, aveva perseguito questo sogno e avvicinato questa conquista con piccoli passi: la fondazione della All Pakistan Minorities Alliance e della Christian liberation Front, l’inserimento di una quota del 5% dei posti pubblici per le minoranze, un tiepido riconoscimento delle festività di altre fedi oltre quella islamica. L’ultima battaglia l’ha combattuta, con toni sempre pacati per non suscitare le reazioni del fondamentalismo, a favore della liberazione di Asia Bibi, una donna cattolica accusata di blasfemia e condannata nel novembre scorso all’impiccagione, tuttora in attesa di appello.
 
(continua)