Un cristianesimo che animi l’Europa


Celebrata il 9 maggio la giornata dell’Europa


di Tiziano Torresi
 
«La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra. L’Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».
Sessant’anni fa, il 9 maggio del 1950, con queste parole il ministro degli affari esteri francese, Robert Schuman, comunicava al mondo la proposta di condividere con la Germania la produzione del carbone e dell’acciaio: erano i primi bagliori dell’Europa unita. È stata festeggiata dunque domenica 9 maggio, in ricordo di quella dichiarazione storica, la Giornata dell’Europa. Da allora, lungo i decenni, sono state costruite istituzioni sopranazionali di fondamentale importanza, che hanno garantito al Vecchio Continente la pace, la stabilità, il benessere economico e crescenti livelli di coesione sociale mai visti in precedenza. Pur tra tante ed evidenti imperfezioni e lacune l’integrazione europea ha così permesso e garantito il rispetto dei valori di solidarietà, di libertà e di pace a milioni di cittadini.
Come cristiani abbiamo ottime ragioni per festeggiare questa ricorrenza e altrettanti motivi per un impegno sempre più grande nella costruzione della comune casa europea, specialmente nel momento di impasse che essa vive. Dopo il Sinodo per l’Europa del 2003, il papa Giovanni Paolo II poteva affermare nella Esortazione apostolica Ecclesia in Europa: «Guardando all’Europa come comunità civile, non mancano segnali che aprono alla speranza: in essi, pur tra le contraddizioni della storia, con uno sguardo di fede possiamo cogliere la presenza dello Spirito di Dio che rinnova la faccia della terra. Così li hanno descritti i Padri sinodali a conclusione dei loro lavori: «Constatiamo con gioia la crescente apertura dei popoli, gli uni verso gli altri, la riconciliazione tra nazioni per lungo tempo ostili e nemiche, l’allargamento progressivo del processo unitario ai Paesi dell’Est europeo. Riconoscimenti, collaborazioni e scambi di ogni ordine sono in sviluppo, così che, a poco a poco, si crea una cultura, anzi una coscienza europea, che speriamo possa far crescere, specialmente presso i giovani, il sentimento della fraternità e la volontà della condivisione. Registriamo come positivo il fatto che tutto questo processo si svolga secondo metodi democratici, in modo pacifico e in uno spirito di libertà, che rispetta e valorizza le legittime diversità, suscitando e sostenendo il processo di unificazione dell’Europa. Salutiamo con soddisfazione ciò che è stato fatto per precisare le condizioni e le modalità del rispetto dei diritti umani».
Sappiamo bene come, negli ultimi anni, la riflessione, spesso polemica, si sia concentrata sul tema delle radici cristiane dell’Europa. La materia del contendere è nota, inutile che vi ritorni. Eppure credo sia pacifico riconoscere che una parte delle argomentazioni allora formulate fosse singolarmente fuori luogo. Come negare il ruolo storico del cristianesimo nel disegnare il volto del Vecchio Continente? Si badi: nel bene e nel male, nella ricchezza delle intuizioni del pensiero artistico, culturale e spirituale lungo i secoli, come nel dramma delle sanguinose guerre di religione.
Il problema di una presenza identitaria del cristianesimo nel contesto sociale e politico dell’Europa unita pone piuttosto importanti sfide alla nostra intelligenza e alla nostra cultura religiosa. Due interrogativi ci possono aiutare.
Il primo: il richiamo di specifiche identità non contraddice lo spirito dell’Europa, il pluralismo che la anima, la mescolanza di religioni e di etnie che la abitano? Differenziazione e condivisione si intrecciano nella nostra storia al punto che il motto dell’Europa è: ‘uniti nella diversità’. La diversità può essere radice di coesione oppure radice di conflitti. Può produrre curiosità o accoglienza oppure rifiuto. La difesa delle autonomie e dei particolarismi può rappresentare una chiusura dei confini ma può anche essere motivo di rilancio delle energie. Le differenze possono essere base di una identità integralista e gelosamente chiusa in se stessa, giocata sulla difesa, oppure una identità aperta al confronto e che da esso trae progressivo arricchimento. In questo la religione gioca un ruolo cruciale. Può essere anch’essa un fattore unificante oppure di divisione (Valerio Onida). È comprendendo questo che, senza rassegnarci alla secolarizzazione, possiamo individuare le corrette parole e i gesti doverosi per far sì che il cristianesimo diventi forza propulsiva della stabilità e della pace del Vecchio Continente.     
E, dunque, l’altro interrogativo: è possibile costruire l’Europa senza riferimento ai mondi religiosi che la popolano e la animano? No. In un certo senso, aveva ragione Yves Congar quando scrisse in Conversazioni d’autunno: «L’Europa è stata fatta dal cristianesimo. Se si vuole costruire l’Europa moderna senza il cristianesimo non si riuscirà». Non tanto nelle formulazioni giuridiche quanto nella ricerca del bene comune e nel dibattito pubblico il cristianesimo può portare intuizioni e contributi di grandissimo valore. Solo per citare alcune cruciali sfide che ci vedono protagonisti: non è forse il dialogo ecumenico un aspetto indispensabile perché il respiro dell’Europa coinvolga entrambi i suoi polmoni? E che dire del confronto interreligioso che trova nella capacità di ascolto del cristiano una sua ragion d’essere? Non è forse il rispetto della dignità umana e la tutela della persona che Cristo ci ha insegnato un punto fondamentale dei diritti dei popoli d’Europa? Non dovremmo forse combattere anche con le armi della fede i ripugnanti rigurgiti di nazionalismo, di antisemitismo e di razzismo che sono la principale minaccia all’integrazione?
Benedetto XVI, nel 50° anniversario dei Trattati di Roma, il 25 marzo 2007, ci ha consegnato parole molto incoraggianti, che torniamo a far nostre in questa giornata per l’Europa: «So quanto difficile sia per i cristiani difendere strenuamente questa verità dell’uomo. Non stancatevi però e non scoraggiatevi! Voi sapete di avere il compito di contribuire a edificare con l’aiuto di Dio una nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca d’ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo. Per questo siate presenti in modo attivo nel dibattito pubblico a livello europeo, consapevoli che esso fa ormai parte integrante di quello nazionale, ed affiancate a tale impegno un’efficace azione culturale. Non piegatevi alla logica del potere fine a se stesso! Vi sia di costante stimolo e sostegno l’ammonimento di Cristo: se il sale perde il suo sapore a null’altro serve che ad essere buttato via e calpestato (cfr Mt 5,13). Il Signore renda fecondo ogni vostro sforzo e vi aiuti a riconoscere e valorizzare gli elementi positivi presenti nell’odierna civiltà, denunciando però con coraggio tutto ciò che è contrario alla dignità dell’uomo. Sono certo che Iddio non mancherà di benedire lo sforzo generoso di quanti, con spirito di servizio, operano per costruire una casa comune europea dove ogni apporto culturale, sociale e politico sia finalizzato al bene comune».