Carissime sorelle e carissimi fratelli,
nessuno si offenda se inizio la mia riflessione con un’affermazione insolita e forte: “Non abbiamo alibi!”. Spiego per quale motivo intendo porgere a tutti voi gli auguri per la Pasqua di Resurrezione a partire dalla consapevolezza che non abbiamo alibi per fuggire dinanzi a Dio o per negare la Sua azione nei nostri confronti.
Molte volte ci lamentiamo pensando che il Signore si sia dimenticato dell’umanità e abbia deciso per tutti noi un periodo di sofferenza e di fatica. Prima il covid con tutte le conseguenze pesanti che ha comportato; ora la tragedia immane dell’aggressione all’Ucraina e della guerra fratricida che sta mietendo vittime e distruggendo le speranze di pace e di fraternità. E so che tanti si lamentano dell’assenza di Dio dalle loro problematiche, dai loro disagi….
Ma non abbiamo alibi: con l’Incarnazione Dio si è fatto presente nella nostra vita, nella nostra storia, nella nostra quotidianità. Con la vita terrena di Gesù, Dio ci ha mostrato che condivide tutto quello che noi viviamo e tutte le nostre fatiche di ogni giorno. Con la Passione subita da Gesù, Dio ci dice quanto partecipi al dolore fisico e morale di ogni donna e di ogni uomo e come la Sua non sia una vicinanza “formale”, anzi! In Gesù Cristo il Signore sta vicino a ciascuno di noi ed entra direttamente nel mistero della sofferenza. Guardiamo Gesù che sulla croce offre l’estremo atto d’Amore dicendo: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno! Ascoltiamo Gesù che sulla croce si “consegna” al Padre per liberarci definitivamente dalle sconfitte di ogni tipo e ci rende persone nuove, annullando la condanna del peccato e distruggendo il potere della morte. L’ apostolo Paolo offre una sintesi che è il centro fondante della nostra fede:
La morte è stata inghiottita nella vittoria.
Dov’è, o morte, la tua vittoria?
Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?
Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge.
Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!
(Prima lettera ai Corinzi 15, 54b-57)
Possiamo e dobbiamo sapere che il Signore Gesù è vicino a noi. Egli ha sperimentato le nostre paure, ha subito i nostri tormenti (soprattutto quelli delle sorelle e dei fratelli martoriati dalla malattia, quelli torturati nei regimi illiberali, quelli violentati nelle pulizie etniche o negli stupri di guerra, quelli scartati dai potenti della terra che sparano sui civili e calpestano la dignità dei piccoli). Egli può dire, con evidente ragione, che l’uomo viene sollevato dalla sua nativa fragilità – conseguenza del peccato originale – e viene condotto, attraverso la comunione con Lui, all’esperienza piena della Vita (cfr. Lettera agli Ebrei, capitolo 10, 19-25).
Gesù ci ha detto, lasciando la terra in cui è stato presente per una breve esistenza umana, che sarebbe tornato al Padre per preparare un posto per ognuno di noi (cfr. Vangelo secondo Giovanni 14, 1-6). A questo punto – avendo ricevuto notizia della definitiva sconfitta della morte da quelle donne che andarono al sepolcro e non trovarono il corpo dell’amato Maestro non perché trafugato (cfr. Vangelo secondo Matteo 28), ma perché risorto dai morti – dobbiamo chiederci: crediamo nella Resurrezione dai morti?
Come Pastore, debbo dirvi che sapere che i cristiani della nostra Diocesi siano convinti e certi della Resurrezione di Gesù donata a ciascuno di noi mi rende felice. Sarei molto preoccupato se questa certezza della fede, trasmessa a noi dagli Apostoli (ma anche da uomini che dubitavano e vivevano l’angoscia dell’incertezza e della precarietà come i due viandanti in fuga da Gerusalemme verso Emmaus che incontriamo nel Vangelo secondo Luca al capitolo 24, 13-35) fosse incrinata da paure, tentennamenti e tentazioni che impedissero al germe della fede inoculato in noi dal Battesimo di maturare fino ad un autentico sviluppo di crescita e di divenire – in tal modo – un costante riferimento per il proprio orizzonte esistenziale. Accetto, tuttavia, la sfida, nella consapevolezza che la Resurrezione di Gesù non può essere annunciata esclusivamente con le parole e con la predicazione, ma che occorrono testimonianze quotidiane di gioia, di serenità, di impegno e di servizio che rendano evidente come il Risorto possa trasformare la vita in albero che fiorisce e e quanto la Resurrezione sappia rendere luminosa ogni notte, a partire dalla notte intensissima della Pasqua.
Permettetemi di proclamare con gioia e con vigore: Gesù ha vinto la morte, Gesù fonda la speranza. Crediamolo con tutto il nostro essere. Viviamo l’impegno di portare nel mondo un fondamento di riconciliazione e di pace che sia occasione per un’autentica fraternità tra i popoli. Alle nazioni in guerra non offriamo solamente parole di solidarietà belle (ma spesso “distanti”), o condanne per la violenza con cui si relazionano e si affrontano; a loro, e soprattutto, alle popolazioni inermi che subiscono soprusi e saccheggi testimoniamo che la Vita può trionfare sulla morte e che la parola definitiva sull’esistenza umana non è quella dei cannoni o dei bombardamenti, ma quella della consolazione che proviene dalla fede nel Dio che fa risorgere dai morti, nel Dio che in Gesù Cristo è venuto a combattere la morte e ogni forma di violenza.
Veramente non abbiamo alibi per pensare che Dio sia lontano dalla vita degli uomini. Non abbiamo alibi per lamentarci della solitudine e dell’abbandono. Non abbiamo alibi per omettere il dovere della solidarietà e l’impegno a far maturare una “cultura della pace”. Non abbiamo alibi per dimenticare che l’uomo è amato da Dio e che la sua vita è piena e vera proprio nella relazione con quel Dio che si è speso per donargli la libertà e la speranza.
Buona Pasqua, nella pace e nella fraternità che unisce gli uomini di buona volontà, amati dal Signore!
✠ Gianrico Ruzza, Vescovo