«In missione alla frontiera del web». L’assemblea plenaria del convegno ecclesiale

Più di 350 persone lo scorso 8 ottobre hanno partecipato al primo incontro presso il Teatro dei Salesiani di Civitavecchia

La frontiera, luogo che genera timore, che diventa occasione di scoperta; da barriera posta a limite alle proprie conoscenze a opportunità per prendere coscienza della propria identità. Quando poi le frontiere di cui si parla sono quelle digitali è l’umanità stessa, quella dei nostri giorni, a doversi interrogare e reagire. Per la comunità cristiana la frontiere è sicuramente una delle “periferie” più prossime, «disabitata come il Far West», che ci chiama a evangelizzare. È stato questo il filo conduttore della prima giornata del convegno ecclesiale diocesano che lo scorso 8 ottobre ha visto oltre 350 delegati delle parrocchie e dei movimenti ecclesiali riuniti presso il Teatro dei Salesiani di Civitavecchia.
“Chiesa in uscita: abitare le periferie esistenziali ed ecclesiali per un nuovo umanesimo” è il tema della relazione principale, sviluppata dal francescano Paolo Benanti, teologo della Pontificia Università Gregoriana. L’incontro si è aperto con la preghiera dei vespri presieduta dal vescovo Luigi Marrucci che, durante l’omelia, ha introdotto i lavori della plenaria che sono proseguiti nella giornata di ieri con i laboratori di studio nelle due zone pastorali della diocesi.
«Il tema del nostro convegno – ha detto monsignor Marrucci – è quello di aiutarci ad entrare sempre più in comunione con il Signore – udirlo, vederlo, contemplarlo, toccarlo – per vivere la sua vita e lasciarla rifluire in noi e tra di noi, con gioia, e nell’amore raggiungere ogni uomo del nostro tempo».
Per il presule «gli ambienti che quotidianamente abitiamo, come la famiglia, l’educazione, la scuola, il creato, la città, il lavoro, i poveri e gli emarginati, l’universo digitale e la rete, sono diventati quelle “periferie esistenziali” che s’impongono all’attenzione della Chiesa italiana quale priorità in cui operare il discernimento, per accogliere l’urgenza missionaria di Gesù».
Un’incursione sull’attuale “vivere sociale” e sull’evangelizzazione delle “frontiere culturali” è stata la relazione del teologo Benanti. Per comprendere tali dimensioni, ha spiegato il relatore, occorre utilizzare come chiave l’antropologia dell’uomo e guardare a cosa l’uomo fa e a come lo fa. « Il mio intervento – ha spiegato – è far emergere come i mezzi di comunicazione, specialmente quelli prodotti dalla cultura digitale e dall’era informatica, influenzino la società e la vita democratica dei nostri contemporanei».
Anzitutto, ha spiegato, «occorre comprendere che nella comunicazione i mezzi non sono neutrali», perché a seconda degli strumenti cambia anche il modo di pensare, il grado di attenzione e il modo di fare relazioni; per loro stessa natura, essi strutturano sia le interazioni tra gli individui sia la forma e la circolazione delle conoscenze. Nella Digital Age, lo scambio di informazioni è veloce, l’argomentazione lascia lo spazio all’emotività, si tende a ragionare per slogan per suscitare emozioni invece di approfondire i concetti. Una società che classifica i suoi appartenenti in “nativi”, le nuove generazioni venute alla luce nell’era del web, e “immigrati”, coloro che dalla cultura analogica si sono adattati alla digitale. Con il rischio di un “analfabetismo” che può colpire tutti, perché più sono le informazioni e maggiore deve essere la cultura per saper discernere la verità.
La frontiera da evangelizzare allora è quella dei nativi digitali, giovani sottoposti a una “dieta mediale” che in un anno li vede trascorre 2.000 ore con i videogames, scambiare almeno 40.000 email, stare 2.000 ore al cellulare, passare 4.000 ore davanti alla televisione guardando almeno 100.000 spot pubblicitari e dedicando, però, solo 1.000 ore alla lettura. «Questa dieta mediale – ha spiegato Benanti – produce un nuovo linguaggio, un nuovo modo di organizzare il pensiero che modificherà anche la loro struttura cerebrale». Di fronte a questo, ha aggiunto, «cosa possono fare 50 ore di catechismo all’anno?».
Quello che il relatore propone è un nuovo modello di governance che «percependo la realtà digitale come luogo delle opportunità, ci vede protagonisti dello sviluppo, per evangelizzare la cultura con la cultura». La governance deve essere motivo dell’attenzione alla persona umana che la costituisce, lo strumento con cui garantire che «l’innovazione tecnologica non arrivi ad assumere forme disumanizzanti», uno spazio «ove le considerazioni antropologiche ed etiche, in un mutuo scambio e dialogo, devono divenire forze efficaci per plasmare e guidare l’innovazione digitale, rendendola autentica fonte di sviluppo umano».
 
L’omelia e il saluto del vescovo Luigi Marrucci