Il giorno più bello di Leopold Nimenya


14 maggio 2001, Burundi. Frastuono. Rumore di spari in lontananza. Grida disperate. Il battito del cuore che rimbomba dentro, quasi assordante, mentre il sangue pulsa dalle ferite su tutto il corpo, specialmente sulle gambe. Leopold Nimenya è un giovane seminarista di ventisei anni, di Bururi. Giace inerme sul ciglio fangoso di un fosso, col sangue scarlatto che si confonde, con rapidi fiotti, all’acqua fetida. Poco fa la Nera Signora gli è passata accanto, quando un gruppo di ribelli ha assaltato la sua parrocchia con una furia omicida, forse per vendicare la bontà con la quale i cristiani hanno denunciato la carneficina di quei giorni, hanno soccorso altri ribelli, altre vittime, altri esseri umani di questo paese africano martoriato da una raccapricciante guerra civile. Il parroco, durante l’attentato, è stato divorato dalle fiamme nella sua automobile. Altri amici sono fuggiti. Altri sono stati barbaramente assassinati. Leopold invece si è salvato gettandosi nell’acqua per spegnere i vestiti in fiamme, respira appena, ora, in questa agonia solitaria e inumana. Eppure, adesso che tutto sembra perduto, ora che tutto sembra volgere alla fine, qualcuno tiene accesa la debolissima fiamma. Qualcuno che vede, conosce, che torna a chiamare per nome. Solo Lui resta. Solo Lui basta. E Leopold lo sa. La voce di Colui che mai abbandona le creature si intreccia ai suoi respiri affannosi, parla, incoraggia, indica nuovi sentieri terreni. Ritornano le forze. Lo Spirito di consolazione agisce. Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato’