Il digiuno: invito alla condivisione


Concludiamo oggi il piccolo percorso di riflessione che ci ha permesso di approfondire il tema del digiuno quaresimale. Nelle scorse domeniche ne abbiamo messo in luce alcune sfumature utili a ricondurre il digiuno nel vocabolario della nostra spiritualità contemporanea. Il digiuno come: fame e attesa della Parola, coscienza del corpo, esercizio ascetico, desiderio di conversione. Oggi completiamo il quadro fermando l’attenzione sul significato del digiuno come invito alla condivisione. Anche questo tema, al pari degli altri, è molto presente nella tradizione patristica e nella Liturgia. Abbiamo evidenziato la volta scorsa il profondo legame che sussiste tra il digiuno e la preghiera intensa che deve intraprendere il fedele specialmente in Quaresima. Affermava in proposito San Giovanni Crisostomo che «chi si pasce di cibi prelibati non può avere uno spirito umile e un cuore contrito. Perciò è evidente che una preghiera senza digiuno è debole e magra. Chi vuole pregare, per qualsiasi necessità, avrà il digiuno come sostegno della sua preghiera» (attr. Op. imperfectum in Matthaeum, XV). Parlare di digiuno come invito alla condivisione ci permette invece di collegare tale pratica religiosa all’altro compito per la conversione che ci consegna la scuola della Quaresima: la carità operosa, l’elemosina. Sant’Agostino, in proposito, è chiaro: «Il digiuno senza carità è inutile. Come possiamo pretendere di elevare la nostra preghiera a Dio e invocare da Lui il perdono e la misericordia, anche tramite il digiuno, se nel contempo non operiamo nella misericordia verso coloro che ne hanno bisogno?» (Sermone 207, 1); così pure la liturgia che ci ha invitati a pregare perché «coloro che nell’astinenza si moderano nel corpo, dal frutto dell’opera buona siano nutriti nell’anima» (colletta del mercoledì della I settimana di Quaresima): l’amore fattivo, la condivisione delle opere buone sazia la fame dell’anima e verifica la sincerità e la fecondità del digiuno.