Don Stefano Carlucci è stato ordinato sacerdote dal vescovo Luigi. «Accogli Dio per essere gioia e consolazione»

Tanti fedeli alla celebrazione eucaristica che si è svolta il 13 maggio in Cattedrale

Don Stefano Carlucci è un nuovo presbitero della Chiesa di Civitavecchia-Tarquinia. In tanti – familiari, confratelli, amici e fedeli -, sabato 13 maggio hanno affollato la cattedrale di Civitavecchia per pregare insieme al nuovo sacerdote durante la celebrazione eucaristica di ordinazione presieduta dal vescovo Luigi Marrucci.Di seguito l’omelia del vescovo:«Accogli Dio per essere gioia e consolazione»

“Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci in esso ed esultiamo!” [dal Salmo 118 (117)]
“Dell’amore del Signore è piena la terra” [dal Salmo 32 (33)].
 
Nel clima gioioso della cinquantina pasquale, si inscrive questa sera, la tua ordinazione presbiterale, carissimo Stefano.
La Chiesa di Civitavecchia-Tarquinia ti accoglie con speranza perché tu possa essere costruttore di una comunità viva, fondata unicamente su Gesù Cristo, il Risorto che dona la vita e la gioia. 

La prima lettura descrive la comunità cristiana in continua espansione sotto la guida degli apostoli; unita, pur nella diversità dei carismi e dei servizi; cresce alla luce della Parola e nella condivisione fraterna. E per il servizio della carità era stato scelto anche Stefano che, con la consacrazione nel sangue – il martirio, ha reso la suprema testimonianza di amore al Signore
(cfr At 6,1-7).
L’apostolo Pietro presenta la vita concreta del cristiano alla luce dell’evento pasquale.
Gesù Cristo, il crocifisso-risorto, è la pietra fondamentale per l’edificazione del suo corpo, la Chiesa e per offrire in essa il sacrificio spirituale dell’esistenza cristiana (cfr 1 Pt 2,4-9).
Giovanni, all’inizio della narrazione in cui riporta i grandi discorsi di Gesù per confortare la fede e l’amore della comunità con la promessa dello Spirito, presenta Gesù “via, verità e vita” per un cammino spedito verso il Padre, approdo per ogni viandante nel mistero di Dio (cfr Gv 14,1-12).
 
            Caro Stefano, alla luce della Parola proclamata, desidero fermare l’attenzione con alcune riflessioni che indirizzo a te e a tutti noi che partecipiamo a questa Eucaristia della tua ordinazione presbiterale.

1. Il Signore Risorto è la “via” che conduce alla “verità e alla vita”.
Il nucleo centrale della fede cristiana è Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, che ha patito, è morto crocifisso ed è risorto ed ora vive presso la gloria del Padre, in attesa del suo ritorno glorioso alla fine dei tempi.
Qui Giovanni, con questa formula di autorivelazione,  ci fa toccare una delle vette più alte del mistero di Cristo e del mistero della vita trinitaria: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto” (Gv 14,6-7).

L’interpretazione dei padri greci ha messo in luce Gesù come uomo, il quale è la via per conoscere la verità e la vita. Questa esegesi, prevalentemente cristologica, fu fatta propria da Sant’Agostino che afferma: Qual’è la strada sulla quale noi dobbiamo correre? Cristo disse: “Io sono la via”. Qual’è la Patria verso la quale corriamo? Cristo disse: “Io sono la verità”. Noi corriamo sulla strada che è Gesù Cristo e corriamo verso la meta che è Gesù Cristo e, in lui, troviamo il nostro riposo (cfr S. Agostino, In Johannis, epistola 10,1).Gli esegeti moderni preferiscono porre l’accento sul significato di “via” e sul “fine” a cui la via conduce”: Gesù è la via per giungere al Padre; è il mediatore verso il fine che è il Padre.

Per il discepolo, Gesù è via al Padre, perché è verità e vita.
Gesù è il “luogo” dove la salvezza si fa disponibile agli uomini perché possano entrare in comunione con Dio. Si giunge a Dio solo attraverso la Persona di Gesù, a cui Giovanni applica la triplice funzione di mediatore, di rivelatore e di salvatore.
Il sacerdote è un uomo “pescato” dal cuore di Dio, reso pietra viva su Gesù – sostegno fondamentale – per guidare il popolo che la Provvidenza gli affida.
Come Gesù e con Gesù il sacerdote è via, e come discepolo del Maestro, si mette a fianco e accompagna i fratelli verso la meta che è il Padre.
E la preghiera di ordinazione, tra poco, passerà in rassegna diversi uomini “pescati” per essere via e strumenti nel cammino verso Dio.
 
Caro Stefano, non lasciarti spaventare dalla prepotente insinuazione della notte. Il Signore bussa al tuo cuore e ti domanda: santità, verità, amore.
Viviamo in un mondo in cui la “Parola del Signore sembra diventata rara” (1 Sam 3,1); Dio tuttavia non si è rassegnato a scomparire. Solo alla terza volta, l’assonnato Eli comprende ciò che il giovane Samuele vuol sentirsi dire da parte di Dio: “Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta”.
Serve il silenzio, serve la contemplazione per conoscere la voce e per decifrare ciò che la voce pronuncia. Dio non si arrende mai.
Nella preghiera, che precede e segue l’ascolto della Parola, prepara il terreno della tua vita; ben coltivato troverà alimento per fruttificare abbondantemente, sebbene cosciente di custodire il tesoro in ciotola mezza rotta.
 
2. Edificati sulla roccia per essere Chiesa, popolo di Dio in cammino.
“Voi siete la stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirabili di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa” (1 Pt 2,9).
L’edificio spirituale è per un sacerdozio santo e per l’offerta del sacrificio spirituale della vita.
La fatica della costruzione e il cammino nella Chiesa ci impegnano “ad andare insieme”, a non remare da soli ma insieme, per non durare fatica invano e senza approdare ad alcun risultato positivo.
Costruire e camminare insieme nella libertà dei figli di Dio, non è vagabondare ma padronanza di sé; costruire e camminare insieme nell’obbedienza alla Chiesa e ai suoi pastori, non distrugge la libertà e non penalizza la persona.
Sa costruire e camminare insieme chi, in modo autentico, è saldamente radicato in Gesù Cristo, come il tralcio alla vite e porta frutto (cfr Gv 15,1-8); sa costruire e camminare insieme chi, sul volto di ogni persona, vede il volto di Gesù; sa costruire e camminare insieme chi frequenta abitualmente la “palestra dello Spirito” per allenarsi al quotidiano combattimento contro lo spirito del male.
Permettetemi un’immagine che spesso si presenta alla mia fantasia, quando al mattino, spalancando la finestra, lo sguardo si perde sul mare.
Con l’imposizione delle mie mani e di quelle dei confratelli presbiteri e con la preghiera consacratoria, tu, caro Stefano, entri in questa Galèa – la nave che sfida i secoli e che è la Chiesa di Gesù Cristo – entri come un “rematore” che si aggiunge all’equipaggio, per salpare nell’annuncio, per rendere presente il Signore con i Sacramenti, per servire la sua carne viva nei fratelli, in particolare nei più bisognosi.
Non si tratta di combattere contro nessuno, come invece avvenne nella battaglia di Lepanto nel 1571: nella nave della Chiesa esiste solo l’arma dell’amore, del perdono e della comunione fraterna.
Costruisci e cammina insieme al Vescovo e ai tuoi confratelli, spinto dal soffio accarezzevole dello Spirito Santo, facendoti tutto a tutti per indirizzarli sulla via – Gesù Cristo, che conduce alla “verità e alla vita”- Dio Padre.
Allora sarai un uomo di Chiesa, non clericale, uomo che profuma di Cristo per servire i fratelli nella fede e servire l’intera umanità 

3. Consacrati per il ministero della gioia.
“Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece collaboratori della vostra gioia” ( 2 Cor 1,24).
Il vescovo, i presbiteri, i diaconi sono i “servi” della gioia. L’ordinazione abilita al servizio, pone il consacrato nella funzione di servire con gioia e nella comunione.
La scristianizzazione che incombe e l’elemento cristiano che scompare sempre più dal tessuto della società, impegnano la Chiesa a trovare oggi nuove forme di presenza e di evangelizzazione perché Gesù Cristo sia conosciuto, accolto come Figlio di Dio e amato come fratello, Redentore dell’umanità.
Il Risorto quando si manifesta ai suoi discepoli li saluta augurando loro “la pace è con voi” .
E, tornando al Padre, lascia come dono la pace.
San Paolo esplicita il dono della pace così: “Il frutto dello Spirito (= la pace)… è amore, gioia, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5, 22).
 
Caro Stefano, non c’è mai un nemico che possa sottrarci la gioia che dona il Risorto!
Ci saranno momenti di difficoltà derivanti dalla propria umanità e da quella dei confratelli di barca, dalla stanchezza del lavoro “abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla” (Lc 5,4), dalla incomprensione e dalla disaffezione della gente… ma ci consola la promessa-certezza: “non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (cfr Lc 5,10).
Tu hai soltanto da ripetergli: “sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,5): la mia vita è per te, Signore!
 
Il servizio della gioia e della consolazione spirituale è oggi quanto mai avvertito dal popolo di Dio e dalle persone che si incontrano nel ministero.
Ma per consolare e far gioire i fratelli abbiamo bisogno di essere noi stessi nella gioia e nella consolazione: e questa va chiesta insistentemente a Dio. Siamo portatori di gioia nella misura in cui noi stessi l’accogliamo da Dio e la viviamo.
Della gioia profumeranno le tue mani, consacrate dal crisma, per partecipare all’unzione sacerdotale di Cristo; poi, l’abbraccio con il vescovo e con i confratelli presbiteri sarà il segno più eloquente della gioia con cui questa Chiesa particolare ti accoglie come ministro del Signore.
E la gioia non è un di più decorativo per il cristiano e per il sacerdote: indica che l’amore è attivo, operante, presente e la gioia è e deve essere duratura. Il tempo sarà l’elemento che ti offrirà la chiave per riconoscere che la gioia in te è azione dello Spirito Santo, a cui docilmente ti doni, senza ricercare in modo autoreferenziale gratificazione e consensi.
 
            Cade oggi il centenario dell’apparizione della Vergine ai tre pastorelli di Fatima, due dei quali Francesco e Giacinta Marto sono stati proclamati Santi da Papa Francesco, pellegrino a quel Santuario. A loro domando intercessione e protezione.
E ti affido a Maria, Nostra Signora di Fatima, perché benedica il tuo sacerdozio, lo renda fecondo e ti accompagni come figlio, nel suo Figlio, per essere costruttore di comunità che vivono la gioia del Signore Risorto. Così sia!