Don Herbert, novello sacerdote.

 
Grande partecipazione sabato 15 settembre, nella Chiesa Cattedrale di Civitavecchia, alla cerimonia per l’ordinazione sacerdotale di don Herbert Djibode Aplogan.La celebrazione, presieduta dal vescovo monsignor Luigi Marrucci, che ha ordinato il nuovo presbitero con l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria, ha visto anche la partecipazione di una rappresentanza della Chiesa del Benin, paese natale di don Herbert, e della sua famiglia. Di seguito riportiamo l’omelia del vescovo Marrucci: 

 
 
‘Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone;
ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio
l’ho fatto conoscere a voi’ (Gv 15,15).
 
 Carissimo don Herbert, è giunto il momento da te desiderato della ordinazione presbiterale, momento in cui il Maestro Gesù ti annovera tra i suoi discepoli – gli intimi – per stringere con te
e – rinnovare con noi – la sua perenne amicizia: ‘non vi chiamo più servi, ma amici’ (Gv 15,15).
Gli antichi quando parlavano di amicizia dicevano: ‘idem velle, idem nolle’ – ‘volere le stesse cose e non volere le stesse cose’. L’amicizia è una comunione del pensare e del volere, da cui deriva successivamente la comunione nell’agire.
Dopo l’allegoria ‘della vite e dei tralci’, il brano del Vangelo che hai scelto per questa Celebrazione Eucaristica che ti consacra sacerdote, si articola in due passaggi, che desidero riprendere per una riflessione che ci aiuti a crescere spiritualmente.
 
1. ‘Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore’ (Gv 15,9).
Alla comunione di amore che intercorre tra il Padre e il Figlio va ricondotta ogni iniziativa che Dio, nel suo disegno di salvezza, ha realizzato per l’uomo.
Il Padre, che ama profondamente il Figlio, lo ha inviato e piantato come vite feconda, perché con lo stesso amore, Gesù ami il discepolo e questi, come tralcio unito alla vite, porti molto frutto e prolunghi così la missione salvifica del Redentore, che è missione di amore.
Ma l’amore di Gesù, riversato nel cuore dei suoi discepoli, chiede una pronta risposta: ‘osservare i suoi comandamenti; rimanere nel suo amore’. Solo in questa vita di comunione e di amore, sta la gioia vera, perfetta, quella che è dono e riflesso della Trinità.
 
‘L’identità sacerdotale – si legge nella ‘Pastores dabo vobis’, esortazione apostolica dopo il Sinodo dei Vescovi su ‘La formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali’ – ha la sua fonte nella SS.ma Trinità. Il presbitero è mandato dal Padre, per mezzo di Gesù Cristo, per vivere e operare nella forza dello Spirito Santo a servizio della Chiesa e per la salvezza del mondo’
(beato Giovanni Paolo II, PDV 25 marzo 1992, 12).
Il ministero sacerdotale è per sua natura ‘dono di comunione e di amore’, che scaturisce dal Cuore di Cristo morente sulla Croce, e nella Cena Eucaristica è perennemente reso presente.
Per questo l’amore-dono di Dio non può essere ‘amore liquido’, come invece il sociologo polacco Bauman definisce i legami affettivi dell’uomo contemporaneo, sempre oscillanti tra il desiderio di stabilità e la paura di farsi ingabbiare da una relazione costante. Ciò vale sia per il matrimonio che per la vita consacrata e ne è diretta conseguenza la crisi di entrambe queste vocazioni.
 
Caro don Herbert, tra poco, con l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione il Signore viene a prendere possesso di te, una presenza sacramentale che ti configura a Cristo Sacerdote, indissolubilmente, e ti chiede di lasciarti amare totalmente.
Secondo la Scrittura ‘essere consacrati’ significa ricevere una particolare vocazione ad essere introdotti in un particolare rapporto di comunione personale con Dio in vista di un servizio divino verso Dio stesso e verso l’umanità. Significa ‘essere messi a parte’ per una missione da compiere in stretta relazione con Dio, nell’attuazione del suo progetto di salvezza.
Questa tua offerta di consacrazione, per un servizio particolare nella Chiesa, più è alta nell’amore, tanto più sarà intrisa di sofferenza, come è stata l’offerta della Vergine, dall’Annunciazione al Calvario.
Vivi nella gioia la tua donazione alla Chiesa, perché Gesù Cristo rinnova a te, oggi, il dono della Sua amicizia. Vivi con fedeltà la tua relazione con Gesù benedetto, il quale ti chiede, ma soprattutto si dona a te; è esigente nel domandare, ma ti gratifica abbondantemente con i suoi doni.
Non diventare mai un prete ‘praticante e funzionario del sacro’, ‘faccendiere e mestierante dei sacramenti’. Sii icona di Colui che si è donato a tutti unicamente per Amore!
Isacco della Stella, monaco del XII secolo, afferma: ‘E’ l’amore – agàpe – il criterio di ciò che la Chiesa vive, nella Chiesa si realizza, con la Chiesa si diffonde’.
 
2. Il brano del Vangelo ci offre poi un secondo percorso di riflessione: ‘rimanete nell’amore fraterno’.
‘Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi’ (Gv 15,12).
 
Il rapporto tra Gesù e i discepoli si realizza nel frutto dell’amore. Rimanere uniti a Cristo, come il tralcio alla vite, vuol dire rimanere nel suo amore e osservare i suoi comandamenti, da cui scaturiscono i beni della gioia e della pace.
Gesù fa poi un ulteriore passaggio: i comandamenti da osservare sono compendiati nell’amore fraterno. Giovanni ricorda spesso, nei suoi scritti, questo precetto del Signore, il quale dà gloria al Padre ed è vita autentica dei discepoli di Gesù che vogliono portare frutti di testimonianza.
Unico metro e norma dell’amore fraterno è l’amore che Gesù ha per i suoi. Amati da Gesù, i discepoli si amano dello stesso amore.
 
Caro don Herbert, il ministero che ti è conferito è un dono di amore che il Signore riversa su di te perché tu possa diffonderlo, con la tua esistenza e con il tuo esercizio sacerdotale, verso tutti i fratelli e le sorelle che incontrerai. Nella misura in cui amerai i fratelli, scoprirai l’intensità dell’amore di Dio per te e in te. Nel dono dell’amore ai fratelli e nella capacità di amare che tu sperimenterai, avrai la certezza che sei stato amato di un Amore eterno.
 
Il dono del sacerdozio ministeriae ti è conferito nel giorno dedicato a Maria, invocata Madre di dolore. Per una provvidenziale coincidenza mentre tu vieni inscritto nell’albo sacerdotale in questa memoria dell’Addolorata, la nostra condiocesana Cecilia Eusepi – inscritta nell’albo dei beati lo scorso 17 giugno – fu ammessa allora nella compagnia dell’Addolorata.
Sul suo letto di sofferenza, ha lasciato scritto: ‘Mi costa cara l’offerta che ho fatto; ma rinascessi la farei di nuovo’.
Desidero consegnare a te, e ricordare a noi presbiteri, questa espressione come impegno sacerdotale: essere preti, costa!
Costa rinuncia, sofferenza, impegno, obbedienza, lealtà, purezza, umiltà’, ma è l’offerta che deponi sulla patena e nel calice che, tra breve, ti saranno consegnati per il sacrificio quotidiano. ‘Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce!’.
Ricordalo, caro amico don Herbert, e ricordiamocelo noi, cari amici sacerdoti: questa offerta sacrificale quotidiana ci renderà felici, se tutta la nostra vita sarà vissuta in trasparenza, nel costante servizio a Dio e ai fratelli.
Infine, le tue mani che metterai nelle mie in segno di filiale rispetto e obbedienza e che ti impegnano, chiedono anche a me di tenerti stretto, come un padre fa con il figlio, per offrirti aiuto, sostegno, amicizia. Ci puoi fare affidamento!
Insieme le deponiamo ora nelle mani del Crocifisso-Risorto e per mezzo della sua Madre Regina-Addolorata, domandiamo la grazia di ‘rimanere’ nell’amore del Signore e di ‘vivere’ nell’amore fraterno. Così sia.
 
  + Luigi Marrucci, Vescovo
 
 
  
 
 
  A seguire una breve intervista rilasciata da don Herbert pochi giorni prima dell’Ordinazione.
 
 
 
                                                                                         ‘Vorrei trasmettere la gioia della fede con il sorriso’
                                                          ‘Pregate per me perché possa essere un sacerdote secondo il cuore di Gesù’
 
«Un piano di amore di Dio, portato avanti senza la mia collaborazione, ma che alla fine si è avverato». Così Herbert Djibode Aplogan descrive il cammino, molto lungo, che sabato prossimo, 15 settembre, lo porterà a essere ordinato sacerdote.
Lo abbiamo incontrato a pochi giorni dalla cerimonia che il vescovo, monsignor Luigi Marrucci, celebrerà nella Cattedrale di Civitavecchia. Con lui ripercorriamo il lungo viaggio, spirituale e geografico, che dall’Africa lo porterà a essere un sacerdote della Diocesi civitavecchiese.
 
Chi è don Herbert?
Sono nato in Africa quaranta anni fa, nella Repubblica del Benin, in una famiglia profondamente cristiana. Ho trascorso la mia infanzia in una parrocchia dove il parroco era mio zio. Anche mio fratello e un cugino sono sacerdoti.
Fin da bambino sono sempre stato attratto dalla vita sacerdotale. Anche quando giocavo, con gli altri compagni, giocavamo a celebrare la messa. Crescendo, come tutti i ragazzi della mia età, ho però messo da parte le aspettative dell’infanzia. Mi sono fidanzato, ho studiato, ma avevo sempre dentro questo desiderio, questo fuoco che ardeva, a cui ho dovuto cedere all’età di 22 anni.
La mia scelta però non è stata quella del sacerdozio, ho quasi avuto un rifiuto, ho preferito consacrarmi come religioso nei Francescani dell’Immacolata. E così, per fare il noviziato, sono arrivato in Italia nel 1997.
 
Perché la scelta della vita religiosa, rifiuto a cosa?
Avevo paura della solitudine sacerdotale. Vedevo i sacerdoti vivere da soli e questo mi intimoriva, non lo vedevo come adatto a me.
La vita in comunità mi piaceva molto, era intensa di preghiera e di azione. Il periodo del noviziato è stato la preparazione a vivere una vita i condivisione e questo mi piaceva.
Poco a poco le cose sono mutate, penso che come sottofondo alla mia via ci sia sempre stata la chiamata al sacerdozio.
 
Come hai maturato questa ulteriore decisione?
La vita come frate mi ha portato a vivere tra la Francia e l’Italia, spesso in viaggio. Nei miei spostamenti incontravo molte persone che mi facevano domande, si confidavano, chiedevano consigli o spiegazioni. Anche i fedeli che venivano a visitare i diversi monasteri dove ho vissuto, cercavano da me qualcosa di profondo. Questo mi faceva sentire limitato, non ero in grado di dare risposte a queste loro richieste. Mi metteva profondamente in crisi il non essere in grado di soddisfare la gente, sentivo che mancava qualche cosa alla mia consacrazione. Compresi così la differenza tra la vita religiosa e il sacerdozio, quest’ultimo è un ministero sacro aperto al mondo.
Questo ha portato alla decisione, presa insieme ai miei superiori, di lasciare la comunità per entrare in seminario a Viterbo, accolto nella Diocesi di Civitavecchia e, grazie a Don Augusto Baldini, da tutto il paese di Allumiere in cui mi sono sempre sentito a casa.
 
Ti sei trovato così a dover affrontare un’altra tappa della tua vita, quasi a dover ricominciare, tra compagni anche molto più giovani di te.
Nel 2005 sono entrato nel seminario di Viterbo dove ho trovato un bell’ambiente di fraternità e comunione tra i seminaristi e i formatori. Qui ho trascorso sei anni veramente importanti, una vita molto intensa. Oltre allo studio c’erano varie attività pastorali con le parrocchie di Viterbo e con la comunità di Allumiere: i cresimandi, i giovani, il volontariato nella mensa Caritas, nelle comunità di recupero del Ceis, a Villa Rosa con i malati terminali. Esperienze, queste ultime, che mi hanno permesso di comprendere realmente il dramma della vita umana.
 
Vieni da un paese lontano e, prima di arrivare a Civitavecchia, hai potuto conoscere diverse realtà in Italia e Europa. Che idea ti sei fatto della Chiesa?
La Chiesa africana e quella di Civitavecchia, è lo stesso Gesù Cristo che viene annunciato ma il modo di vivere è diverso. Il Benin è definita come la nazione del sorriso. La caratteristica della nostra Chiesa africana è la gioia che riesce a trasmette anche nella povertà estrema.
È la festa dell’incontro con Gesù, capace di dare la risposta ai tuoi problemi. Torni a casa dalla celebrazione carico spiritualmente, anche se ritorni nella miseria quotidiana, hai una marcia in più per affrontare la vita coraggiosamente.
Una gioia che purtroppo manca alla realtà europea dove la pastorale rimane legata alla celebrazione domenicale, una celebrazione spesso vissuta guardando l’orologio.
Consapevole delle diversità cerco di entrare in questi aspetti culturali che fanno ormai parte della mia persona.
 
Domenica prossima celebrerai la tua prima Messa solenne ad Allumiere, di fronte alla comunità che ti ha adottato. Cosa dirai?
La mia prima messa sarà un ringraziamento a Dio che mi ha creato, che mi ha amato come sono, con i miei limiti e difetti. Il suo piano di amore lo ha portato avanti senza la mia collaborazione, perché ho sempre cercato di fare i miei progetti da solo ma, alla fine dei conti, a prevalere è stato sempre lui.
Sarà un ringraziamento alla Chiesa di Civitavecchia – Tarquinia che mi ha accolto come figlio e mi ha dato la possibilità di fare questa grande esperienza. Un ringraziamento alle persone che concretamente hanno permesso ciò: Don Augusto e i tre vescovi che si sono succeduti e che mi hanno accolto e accompagnato.
Sarà anche la richiesta alla comunità di pregare per me perché possa essere un sacerdote secondo il cuore di Gesù. Spero di poter nella grande semplicità di essere all’altezza di servire la Chiesa che mi ha accolto, di cui mi sento membro e che amo con tutto il cuore.
A.C.