Anniversario dell’ingresso di Mons. Marrucci in diocesi

Domenica 19 febbraio ricorre il primo anniversario dell’ingresso in diocesi del nostro Vescovo Luigi. Era, infatti, il 19 febbraio 2011 quando prese ufficialmente possesso della nostra Chiesa particolare.
In occasione di questa ricorrenza lo abbiamo incontrato per rivolgergli alcune domande.
 
 
 
Un anno fa Civitavecchia e l’intera Diocesi ha accolto l’arrivo del suo nuovo Pastore.
Quali sono i suoi ricordi e le emozioni di quella giornata?  Ogni anniversario porta sempre con sé un momento di riflessione e di bilancio. Cosa può dirci?
 
 
Se ripenso a quel che mi è accaduto nel novembre del 2010, rimango ancora perplesso. La chiamata che il Santo Padre mi ha rivolto perché fossi inscritto nella successione apostolica è stato un dono impagabile. Avermi poi assegnato la sede di Civitavecchia-Tarquinia ha ancora destato stupore: di solito i vescovi li scelgono tra i presbiteri della regione in cui la sede vacante dovrà essere provvista di un pastore.
Io sono toscano e, sebbene questa diocesi dell’alto Lazio confini con la mia regione, sono comunque chiamato a svolgere il mio ministero fuori i confini della mia terra natale. Anche questo mi ha procurato qualche timore.
Comunque detto il ‘sì’ e comunicatolo per lettera al Papa, una grande serenità è rimasta e tuttora vive in me: sono qui perché non l’ho voluto, sono qui perché non ho scelto: so di essere qui perché inviato e sono felice di esserci a vivere la mia missione.
La gioiosa e calorosa accoglienza di questa Chiesa ha rivelato quanto essa sia legata ai suoi vescovi: del resto ogni famiglia vive la propria unità e fraternità nello stringersi attorno al padre. Rimanere orfani dà sempre la sensazione di disorientamento, di povertà.
A distanza di un anno posso affermare di avere una conoscenza più che sufficiente di questa porzione del popolo di Dio: conosco tutti i miei sacerdoti, che ringrazio per la collaborazione indispensabile alla crescita del Regno di Dio; conosco le varie comunità religiose maschili e femminili a cui sono grato per il servizio, la preghiera, la consacrazione della loro esistenza a Dio e alla Chiesa.
Conosco molti amici laici che collaborano nei vari settori della pastorale diocesana e parrocchiale, vivono la vita della Chiesa dentro movimenti, associazioni, gruppi ecclesiali che li impegnano con un carisma specifico: a tutti la gratitudine personale e la mia preghiera quotidiana, perché siano seme di grazia e di speranza.
A tutti, sacerdoti, religiosi, consacrate e laici chiedo di non venir meno nell’impegno di testimoniare con la propria vita Gesù Cristo: tutti ci osservano e ci vogliono vedere autentici!
 
 
 
Nella sua pluridecennale esperienza nell’Unitalsi avrà sicuramente incontrato tante belle testimonianze di fede nella sofferenza. È successo anche nella nostra Diocesi?
 
 
Sì vengo da una lunga e variegata esperienza nell’UNITALSI (sono stato assistente spirituale della mia diocesi di origine – Volterra – per diciassette anni, poi in regione Toscana per tre anni e dieci come vice assistente nazionale): l’attenzione al malato, al disabile, alla persona sofferente è stato il mio pane quotidiano. Ho coniugato liturgia e carità per tutti i miei anni di sacerdozio: liturgia perché il mio vescovo di allora Roberto mi inviò a Roma per la specializzazione e carità, perché lo stesso vescovo, appena rientrato, mi nominò assistente spirituale dell’UNITALSI. E’ stato lui a unire nella mia persona questi due aspetti del ministero presbiterale, io li ho solo accolti e, spero, di averli assolti facendo meno errori possibili.
La mia venuta in questa Chiesa mi ha messo subito a contatto con alcune realtà di sofferenza: tra tutte ne individuo una che ha lasciato un segno profondo in me. E’ la storia del piccolo Adriano, da me incontrato al ‘Bambin Gesù’ ancor prima di raggiungere Civitavecchia. Era stato operato da pochi giorni ed era convalescente; ho stretto amicizia con lui e con la sua famiglia fino al fatidico 6 dicembre u.s. giorno in cui il Padre buono lo ha accolto nella sua casa.
La sofferenza, soprattutto quella innocente è sempre per me una domanda a cui non riesco a dare una risposta: perché, Signore? Poi guardo la Croce e il Crocifisso e mi sento sussurrare: perché così si offre l’Amore, perché così si consuma Colui che ama!
E, in qualche modo, quel mistero si illumina: l’amore rischiara il buio della vita, l’esistenza sofferente si riaccende di speranza.
Se nella sofferenza non penetra la luce dell’amore, questa rimane desolazione, sconfitta, fallimento umano. E chi aiuta il sofferente a vivere la sofferenza con amore, è soltanto chi si accosta con amore a chi soffre: ogni uomo può diventare compagno di amore del suo prossimo.
 
 
 
Nello scorso mese di ottobre ha organizzato in Cattedrale il Convegno Ecclesiale Diocesano sul tema ‘Lasciarci educare da Gesù Maestro, per educare i fratelli’, con il quale ha poi ‘interrogato’ ogni singola realtà diocesana sull’importante argomento dell’educazione. Quale il percorso intrapreso dalla nostra Diocesi?
 
Sono contento del Convegno che la nostra Chiesa ha vissuto nel duplice momento: quello assembleare in Cattedrale il 6 ottobre u.s. e il successivo momento di dialogo nelle singole realtà pastorale. E’ come se tutti si fossero interrogati sul loro essere Chiesa e sul contributo che ciascuno offre per realizzare l’unità nella Chiesa.
La diocesi di Civitavecchia-Tarquinia ha una ricca e variegata tradizione ecclesiale: vi sono tante realtà che lasciano trasparire la bellezza dell’unico Corpo; movimenti che favoriscono la riscoperta della fede cristiana, magari abbandonata da tempo. Vi sono molte associazioni che impegnano i cristiani nel servizio di prossimità ai fratelli bisognosi: penso all’UNITALSI, alla confraternita di Misericordia, alle associazioni di volontariato. Si tratta di armonizzare il loro lavoro, soprattutto aiutare i soci ad un percorso formativo che li conduca a collocare o a ri-collocare Gesù Cristo al centro della loro vita.
La diocesi poi ha fatto la scelta pastorale della famiglia: tutta l’attenzione è focalizzata nell’aiutare la famiglia a svolgere il suo compito primario di realtà educante. Sono state individuate un numero di coppie provenienti dalle varie parrocchie della diocesi, le quali hanno iniziato un cammino formativo per poi inserirsi a pieno titolo nella pastorale familiare parrocchiale ed essere così lievito che fermenta tutta la comunità.
 
 
In questo periodo la Diocesi si prepara a due avvenimenti: l’ordinazione presbiterale del diacono Herbert e la beatificazione della condiocesana Cecilia Eusepi. Quali le iniziative che ci prepareranno a questi eventi ecclesiali?
 
 
L’ordinazione sacerdotale di don Herbert non è stata ancora fissata. Egli svolge il suo servizio pastorale presso la Parrocchia Gesù Divino Lavoratore in Civitavecchia; inoltre frequenta la facoltà di teologia pastorale sanitaria presso il Camillianum di Roma. Lo seguiamo con affetto e simpatia e uniamo la nostra quotidiana preghiera perché il Signore, che lo ha chiamato, lo sostenga nel ripetere con gioia, il ‘sì’ del discepolo fedele.
L’augurio che intendo formulargli è che il suo esempio e la sua testimonianza susciti per la nostra Chiesa tante altre vocazioni; di sacerdoti santi ne abbiamo davvero bisogno!
La beatificazione di Cecilia, avverrà in Nepi, diocesi di Civita Castellana, domenica 17 giugno p.v. La diocesi si è impegnata a far conoscere la futura beata con un pieghevole che verrà lasciato in tutte le case in occasione della benedizione pasquale delle famiglie. Inoltre la domenica 13 maggio durante le Celebrazioni Eucaristiche sarà presentata la figura della beata, per la cui intercessione sarà formulata a Dio Padre anche la Preghiera dei Fedeli.
Certamente la diocesi parteciperà, con una significativa rappresentanza, alla Celebrazione di Beatificazione, organizzando un pellegrinaggio a Nepi.
Infine per i sacerdoti ci sarà un momento particolare di meditazione durante il prossimo Ritiro Spirituale del 15 marzo e guiderà la riflessione il postulatore della causa di beatificazione padre Tito Sartori.
 
 
Per concludere, qual’è il messaggio che gli sta più a cuore e che vuole comunicare ai suoi fedeli?
 
Molti pensieri passano per la mia mente e toccano il mio cuore; ma l’unità di questa Chiesa è quanto mi sta più a cuore.
Per unità intendo corresponsabilità di tutti i laici nel costruire, anche visibilmente, il Corpo di Cristo. Tutte le realtà pastorali hanno diritto di vivere e di crescere secondo il proprio carisma; quando poi la Chiesa si raduna, a livello diocesano, con a capo il suo vescovo e, successivamente, a livello parrocchiale, tutti debbono costituire l’unico Corpo visibile di Cristo. La frammentazione e la lacerazione sono controtestimonianza: sono la negazione di Colui che è l’Unico di Dio che ha voluto la Chiesa come suo unico corpo.
Finchè il Signore mi darà vita, lavorerò e mi spenderò perché la sua ‘preghiera sacerdotale’ (Gv 17) diventi verità in questo presbiterio e in questa santa Chiesa di Civitavecchia-Tarquinia.