Un ricordo di monsignor Chenis


Quando sabato 19 dicembre mi raggiunse telefonicamente, il Vescovo Carlo mi comunicò, quasi per dovere istituzionale, con estrema lucidità e precisione, che aveva ritirato il risultato della TAC e gli era stata diagnosticata una massa tumorale che interessava pancreas, stomaco e fegato. Alla espressione del mio sconcerto, per l’inattesa notizia, aggiunse: “Sono sereno. Al massimo si muore; se non siamo preparati noi preti!”
Qualche giorno dopo ha chiesto, ai suoi più stretti collaboratori, di ricevere l’Unzione degli Infermi.
Inizialmente aveva deciso di non intraprendere alcuna terapia ma si era poi lasciato convincere ad un ricovero ospedaliero per approfondire la diagnosi e tentare qualche cura. Aveva immediatamente riprogrammato la sua vita: “ora vivo giorno per giorno; lavorerò finché riuscirò a lavorare. Se impossibilitato, presenterò le dimissioni”.
Il lavoro non è mancato. Ha onorato quasi tutti gli impegni già presi per il tempo natalizio: celebrazione in Cattedrale a Civitavecchia e nel Duomo a Tarquinia, Te Deum di ringraziamento nella Chiesa di S. Francesco a Tarquinia.
Anche le due ordinazioni sacerdotali, già fissate per il 19 gennaio (don Roberto) e per il 13 febbraio
(Don Lèopold), sono state da Lui effettuate, con grande fatica ma ancora più grande soddisfazione.
Intanto dalle sue omelie e dai suoi scritti emergeva sempre più prepotente la presenza della malattia, identificata come uno “stato di grazia”.
In ogni occasione sorprendeva la sua serenità psicologica e spirituale. La fede era diventata l’unica
chiave di lettura della sua nuova condizione. Scriveva: “Guardando in questa congiuntura, ammetto che il Signore non poteva trovare di meglio, pur nel dramma umano. Quanto occorso mi da ampio spazio, affinché possa riprendere il periodo a seguire il venticinquesimo (di sacerdozio) con intimità spirituale, onde rendere vissuto quanto ho predicato con passione, onde non dissociare l’incalzante lavoro dal divino abbandono… Consapevole del male fui subito avvolto dalla sicurezza di essere entrato in un’avventura a lieto fine, sia prospettandosi una guarigione, poiché la ripresa dell’apostolato sarebbe stata spiritualmente diversa, sia annunciandosi la dipartita, poiché la speranza del paradiso mi stava impregnando l’intimo … Ora sto sostando in questo stato di grazia incalzato dai tentativi terapeutici: Il dopo è un’incognita. Un’incognita in senso temporale, una certezza in senso spirituale”.
Tutto era iniziato in occasione della solenne celebrazione presso il Santuario di Valverde in Tarquinia: un improvviso abbassamento della voce ed una insistente febbricola. Ma si pensava alla classica influenza stagionale, dal momento che non erano stati registrati altri sintomi, a parte un persistente stato di astenia.
Col passare dei giorni le sue condizioni cliniche si aggravavano ma non veniva meno la speranza di un possibile recupero; continuava a lavorare perché il programma già delineato per questo anno pastorale cominciasse a concretizzarsi e nuove iniziative prendevano forma, pur nella consapevolezza piena della precarietà. Ma era sostenuto dalla continua preghiera che la Diocesi, e
non solo, elevava a Dio e dalle numerosissime manifestazioni di affetto, tanto da scrivere nel
comunicato, col quale ha voluto personalmente dare notizie sul suo stato di salute: “permane la
progressiva debilitazione fisica e l’incerta definizione prognostica, che però non distrugge la
percezione della vicinanza di tante persone benevole e l’affidamento spirituale… anzi, sento vicinissima la presenza di tanti”. E concludeva con le parole del Vescovo cagliaritano Eusebio: “Mi raccomando, è importante custodire la fede, conservare la concordia, assicurarsi la preghiera”.
Era così il Vescovo Carlo: appassionato costruttore di concordia, mediante la solidarietà condivisa, per non annegare in chiacchiere insulse e false pietà.
Ci ha salutato, il giorno dei funerali, sorridente dalla gigantografia: “ho servito sempre la Chiesa. …Arrivederci!”
La sua presenza dal Cielo, ne siamo certi, non verrà meno.
                                                                                      Mons. Rinaldo Copponi, già Vicario Generale