Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Porto-Santa Rufina presentata da monsignor Gino Reali e ha nominato Amministratore Apostolico della medesima sede monsignor Gianrico Ruzza, Vescovo di Civitavecchia-Tarquinia.
L’annuncio è stato dato dai due vescovi in concomitanza nelle rispettive diocesi il 5 maggio 2021. Monsignor Ruzza ha convocato i sacerdoti nella Curia vescovile di Civitavecchia dove ha dato lettura della nomina inviata dal nunzio apostolico ed ha inviato un messaggio di saluto ai fedeli della Chiesa di Porto-Santa Rufina.
Il messaggio di monsignor Gianrico Ruzza
Con gioia!
Carissime sorelle e carissimi fratelli in Cristo,
è la gioia il sentimento che provo in questo momento, in cui sono chiamato da Papa Francesco ad assumere il servizio di amministratore apostolico della Chiesa che vive in Porto – S. Rufina. Al Papa va in questo momento la mia rinnovata gratitudine in piena adesione al suo ministero profetico per la Chiesa universale.
Il primo pensiero va al carissimo Mons. Reali, in questo giorno in cui fa memoria dell’inizio del suo ministero tra noi, diciannove anni fa. Ho potuto vedere da vicino quanta passione abbia offerto nel suo servizio alla Diocesi e quanto zelo abbia manifestato nell’assumere un incarico impegnativo. La sua fedeltà e la sua disponibilità verso il popolo di Dio della nostra Diocesi sono oggi per me e per noi tutti motivo di gratitudine. Grazie, don Gino! Rivolgo, inoltre, un saluto affettuoso al Card. Beniamino Stella, che recentemente ha assunto il titolo della nostra Diocesi suburbicaria.
Vengo tra voi con piena disponibilità per essere al vostro servizio, nella missione che il Papa mi affida. Vengo da una Chiesa sorella, legata alla nostra Diocesi da vincoli antichi e che da quasi un anno è la mia famiglia: ci unisce il mare, ci uniscono tante pagine di storia, soprattutto ci unisce il desiderio di vivere nella nostra quotidianità con la luce del Vangelo, che dai primi secoli dell’era cristiana ha impregnato le nostre terre attraverso la testimonianza dei martiri e di tanti santi che hanno calcato la polvere di queste contrade. Viviamo un’eredità importante, che desidero tenere ben presente nella mia memoria, ricordando anche il ministero di tanti vescovi che hanno donato la loro vita al servizio del nostro popolo.
In questo giorno il Signore ci dona la parola del Vangelo di Giovanni, nel capitolo 15, 1-8, laddove Gesù ci invita a rimanere in Lui per portare frutto. Vorrei che questa Parola rimanesse ben chiara e luminosa nel mio cuore durante l’esercizio del mio ministero tra voi: viviamo insieme la chiamata a portare frutto. Traduciamo questa chiamata con l’impegno di annunciare la potenza gioiosa del Vangelo alle persone, alla città (ai nostri territori, piccoli o grandi che siano), a tutti coloro che vivono nel bisogno e nel disagio (accresciuti enormemente dalla crisi pandemica che ha investito il mondo intero), a coloro che provengono da altre nazioni in cerca di lavoro e di solidarietà.
L’insegnamento coraggioso e forte di Papa Francesco ci invita, infatti, a sentire come urgente la vocazione missionaria, propria di una Chiesa che si pone in dialogo col mondo per portare la pienezza della Rivelazione compiuta in Gesù, Signore della storia. Come ci dice in Evangelii Gaudium:
Quando la Chiesa chiama all’impegno evangelizzatore, non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale: «Qui scopriamo un’altra legge profonda della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri. La missione, alla fin fine, è questo». Di conseguenza, un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale. Recuperiamo e accresciamo il fervore, «la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime […] Possa il mondo del nostro tempo –che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza – ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo» (n. 10)
Sogno una Chiesa che non abbia problemi ad uscire dal proprio ambito tradizionale per incontrare il mondo, pensando alle tante anime assetate di verità; molti nostri fratelli non sono consapevoli del desiderio profondo che hanno nel cuore di incontrare la Verità, che è il Signore Gesù: attendono da noi che di essere incoraggiati e accompagnati a scoprirLo! Una Chiesa che vive “in uscita” (EG 20-24) è pronta ad incontrare le persone, a dialogare con loro per accompagnarle, ad integrarle nel tessuto della propria vita comunitaria per poter con loro discernere il progetto di Dio sulla loro vita. Il Papa ci incoraggia a vivere secondo questo stile, che ci indica con chiarezza luminosa in Amoris Laetitia (in particolare nel cap. VIII, ma intendo riferirmi anche alle parole che troviamo nei nn. 27-29, laddove si parla della tenerezza divina e nei nn. 183-184, in cui la famiglia è esortata ad essere accogliente e testimoniante).
Abbiamo dinanzi grandi sfide, legate certamente alla situazione emergenziale in cui siamo a causa del covid 19, ma non possiamo dimenticare che la crisi sociale e morale del nostro tempo è una crisi di identità. Penso che la nostra comunità diocesana debba sentire come propria la chiamata ad essere soggetto di profezia per l’impegno in difesa del creato – della casa comune, nello spirito di Laudato si’ – e per la ricostruzione della convivenza pacifica e della fraternità tra i popoli, vivendo l’occasione della globalizzazione del bene e della solidarietà, come ci chiede l’enciclica Fratelli tutti.