L’ordinazione presbiterale di don Dario Errico. Il vescovo Marrucci: «il sacerdozio è dono e mistero»

Grande partecipazione nella Cattedrale di Civitavecchia per la celebrazione eucaristica preceduta dal Giubileo dei giovani

Sabato 2 aprile, nella Cattedrale di Civitavecchia, il vescovo Luigi Marrucci ha presieduto la celebrazione eucaristica con il rito di ordinazione presbiterale per don Dario Errico. Grande partecipazione alla Messa che è stata preceduta nel pomeriggio, presso la rettoria della SS.ma Concezione, dal Giubileo dei giovani. Molti i ragazzi che, dopo un lungo incontro di catechesi e testiamonianze, hanno accompagnato il candidato al sacerdozio in processione fino all’altare, varcando la Porta Santa.
 
Di seguito il testo integrale dell’omelia pronunciata dal vescovo Luigi Marrucci
 
 
“Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.  
Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci in esso ed esultiamo!” [Salmo 118 (117)]

Sono le parole dell’ultimo Salmo con cui si chiude l’Hallel pasquale, il grande inno di benedizione che riempiva il tempio di Gerusalemme durante l’atto liturgico in onore di Jahweh.
Sì, rendiamo grazie, è il giorno che il Signore ha fatto per te, carissimo Dario.
Oggi il suo amore è per te, da sempre e per sempre.
Configurato a Cristo con i sacramenti indelebili dell’iniziazione cristiana per essere il suo corpo visibile – la Chiesa, arricchisce ora questo dono con il sacerdozio ministeriale per configurarti a Lui capo e pastore nella comunità celebrante.

Il sacerdote nasce nella comunità cristiana ed è generato dal presbiterio di una Chiesa, con la fecondità dello Spirito Santo, per l’imposizione delle mani e la preghiera di consacrazione del Vescovo. Perciò il sacerdozio è dono e mistero:

dono perché atto di amore di Dio, che ha chiesto la collaborazione dell uomo per realizzare il suo piano di salvezza; mistero perché viene affidata ad un essere fragile la potenza stessa di Dio.

Non richiede molto sacrificio diventare sacerdote, ma esige immolazione vivere il sacerdozio.
Desidero offrire a te, caro amico, e a noi tutti 3 brevi riflessioni attingendole dal rito di ordinazione.

IL SEGNO DELLE MANI La “immixtio manum”, l’intrecciarsi delle mani dell’ordinando nelle mani del Vescovo è un gesto che impegna entrambi: l’uno mette la sua vita nelle mani dell’altro in segno di fiducia e di stima reciproca. Il Vescovo, davanti alla comunità, si impegna ad amare, custodire, guidare, ascoltare il sacerdote; l’ordinando promette al Vescovo rispetto e obbedienza di figlio. L’imposizione delle mani – la cheirotonia – gesto antichissimo da parte del Vescovo e del Presbiterio: è benedizione, è segno della trasmissione di un ufficio, è affidamento di una missione, è comunicazione del dono dello Spirito Santo, è

“la mano di Dio che tocca la testa di colui che è ordinato” (S. Giovanni Crisostomo).
“Tu mi appartieni; tu stai sotto la protezione delle mie mani. Tu stai sotto la protezione del mio cuore” afferma il Papa emerito Benedetto XVI.

L’unzione crismale delle mani è attestata fin dal secolo VIII  nel Missale Francorum e richiama l’unzione degli oggetti, dei luoghi e delle persone che, scelte da Dio, come Aronne e i suoi figli, riceveranno l’olio dell’unzione (cfr Es 29,1-9).

“La mano dell’uomo è lo strumento del suo agire, è il simbolo della sua capacità di affrontare il mondo, appunto di prenderlo in mano. Il Signore ci ha imposto le mani e vuole ora le nostre mani affinché, nel mondo, diventino le sue. Vuole che non siano più strumenti per prendere le cose, gli uomini, il mondo per noi, per ridurlo in nostro possesso, ma che invece trasmettano il suo tocco divino, ponendosi a servizio del suo amore. Vuole che siano strumenti del servire e quindi espressione della missione dell’intera persona che si fa garante di Lui e lo porta agli uomini”. (Papa emerito Benedetto XVI).

L’abbraccio fraterno di pace: il Vescovo lo scambia con l’ordinato e questi con tutto il presbiterio presente. Non è soltanto un segno di affetto e di amicizia, esprime il legame sacramentale che unisce Vescovo e Presbiteri, indica la carità pastorale che deve indossare chi è consacrato dallo Spirito per essere prete, non per fare il prete. L’abbraccio è segno di una vita spesa per realizzare sempre più una comunione fraterna, dove non esistono “funzionari del sacro” ma discepoli dell’unico Maestro. LA PROSTRAZIONE E’ un gesto forte di sapore biblico che richiama vari aspetti: il tornare alla terra dalla quale siamo venuti per il soffio potente dello Spirito (cfr Gn 2,7); un modo di pregare e supplicare il Signore con maggiore intensità (cfr 2 Mac 13,12); piena partecipazione al mistero della Pasqua di Cristo che è passione, morte, sepoltura e risurrezione (cfr Mt 26,36-39); indica anche riconciliazione, consapevolezza del proprio limite, confessione delle proprie miserie, dono di vita e abbraccio della Misericordia di Dio. Prostrarsi rimanda alla nullità del nostro essere, dice essenzialità, soprattutto ha una valenza sponsale: e in questa luce vanno rivisitati e interpretati il prostrarsi di Gesù nell’orto del Getsemani e del candidato nei tre gradi del rito di ordinazione.
Il gesto di Gesù che si prostra in preghiera di offerta e di abbandono al Padre, più che disprezzo del mondo indica amore ad esso, alleanza fino alla morte, fino a “ritornare in polvere”; attraverso il dono di sé alla “terra” la fa sua sposa, la rende feconda. E’ come ritornare nel seno della madre per essere rigenerato sacerdote-vittima-altare della nuova alleanza, in una perenne e totale configurazione a Gesù Cristo. E’ non appartenersi più: la vita è donata definitivamente a Dio, alla Chiesa e all’umanità: è dimenticare se stessi per essere un dono. LA PREGHIERA DI ORDINAZIONE

E’ strutturata sul modello della Preghiera Eucaristica – la parte centrale della Messa – e l’attuale formulazione si rifà ai Sacramentari Veronese, Gelasiano antico e Gregoriano, con alcuni richiami ai testi del Concilio Vaticano II.
La preghiera esorta i presbiteri ad essere esempio di santità per il popolo, anzi la stessa santità presbiterale sarà motivo di successo nell’azione missionaria. Inoltre chiede per il presbitero il dono della fedeltà.
Si possono individuare tre momenti: anamnesi – epiclesi – intercessione.     

Anamnesi: è il ricordo, il memoriale del progetto di Dio che inizia con la scelta dei settanta anziani da parte di Mosè perché collaborino con lui, dopo essere unti dallo Spirito (Nm 11,16-17.24-25); evoca inoltre la vocazione e la consacrazione sacerdotale di Aronne e dei suoi figli per l’esercizio del culto (Lv 8-9); richiama infine la missione di Cristo, degli apostoli e dei discepoli con il mandato di evangelizzare tutte le genti e guarire ogni infermità (Lc 9,1-5; 10,1-11). Epiclesi: è il momento centrale della preghiera: allo Spirito Santo si chiede di donare il sacerdozio nel suo secondo grado per appartenere al presbiterio della Chiesa con una vita esemplare e rendere una testimonianza viva del Signore crocifisso e risorto. Esemplarità di una condotta di vita perché il sacerdote prolunga l’azione pastorale di Cristo, santità contagiosa che irrompe nella vita di quanti si avvicinano a lui.

“Mediante la consacrazione sacramentale, il sacerdote è configurato a Gesù Cristo, in quanto capo e pastore della Chiesa e riceve in dono un potere spirituale che è partecipazione all’autorità con la quale Gesù Cristo, mediante il suo Spirito, guida la Chiesa” (PdV 21).

Intercessione: si chiede al Signore di rendere il presbitero fedele collaboratore del Vescovo per l’esercizio del sacerdozio apostolico e si domanda la fedeltà ad impetrare da Dio misericordia e perdono per sé e per il popolo che gli è affidato, celebrando la Liturgia delle Ore.

Caro don Dario “non trascurare il dono di Dio che, tra poco, ti sarà conferito con l’imposizione delle mani da parte del vescovo e dei presbiteri” (cfr 1 Tim 4,14); è un dono fatto a te ma da spendere nel presbiterio diocesano e per l’utilità del popolo di Dio.
Perciò non dimenticare che quando parliamo di potestà sacerdotale “ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità”. E nella Chiesa le funzioni “non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri” (Chistifideles laici, 27 e 51); la funzione del sacerdozio ministeriale, quella gerarchica “è ordinata totalmente alla santità delle membra di Cristo” (Mulieris dignitatem, 27).
Sii lampada che arde e risplende della santità del Signore; fai brillare la tua esistenza della luce di Cristo che vive in te!

Il sacerdote, infine, non esercita una funzione di servizio in nome della comunità, ma in nome di chi lo ha mandato e l’essenziale del ministero del prete non consiste nel potere di amministrare e distribuire sacramenti, ma nel diventare lui stesso sacramento di incontro degli uomini con Dio.
L’essenziale è rendere presente Gesù Cristo attraverso la luminosità di una esistenza che si trasfigura in lui. Il sacerdozio ministeriale è servizio al popolo di Dio perché il Signore trovi posto nel cuore dei fedeli.
E questo servizio si fa non in maniera astratta, sedendo in cattedra e dando buoni consigli; non si fa in modo eremitico, lontano dalla gente ma tuffato nel loro cuore, in particolare nel cuore della gente che soffre, che è sola, che è dimenticata. Il ministero sacerdotale è vivere in mezzo ai fratelli e camminare con loro offrendo esemplarità di vita e spargendo il buon profumo di Cristo.
L’apostolo Paolo descrive i tre ruoli di chi è preposto al servizio della comunità: come fatica del servire, esemplarità nell’essere guida, prendersi cura dei fratelli più deboli e degli scoraggiati
(cfr 1 Ts 5,12-14).
E sant’Ambrogio afferma: “Dove c’è misericordia, c’è lo spirito di Gesù. Dove c’è rigidità, ci sono solo i suoi ministri”.

Ti auguro di essere un sacerdote misericordioso, lieto, raggiante e di rendere felici tutti quelli che incontri nel tuo ministero.  
Ti custodisca Maria Santissima, causa della nostra letizia, e ti accompagni nel tenere fisso il tuo cuore dove è la vera gioia!  
Così sia.