“Liturgia azione di Cristo e della Chiesa”. Lettera pastorale del vescovo Luigi Marrucci per la Quaresima

Cari amici,
dopo la riflessione sulla “domenica-pasqua settimanale-giorno del Signore” desidero ancora fermare l’attenzione sulla liturgia-azione di Cristo e della Chiesa in questo cinquantesimo anniversario della promulgazione – 4 dicembre 1963 – della costituzione liturgica che porta il titolo Sacrosanctum Concilium.
La Liturgia non appartiene all’uomo, sebbene da questi e per questi celebrata; è azione di Cristo che loda il Padre ed è azione salvifica per l’uomo, per ogni uomo, per il quale il Signore Gesù è venuto, ha patito, è morto e risorto, è tornato al Padre per inviare il dono della sua presenza ininterrotta con lo Spirito Santo.
La Liturgia è azione di Cristo-capo, reso presente dal presbitero che lo impersona durante la Celebrazione dell’Eucaristia e dei Sacramenti ed è azione di Cristo-corpo reso visibile dall’assemblea che celebra, insieme al presbitero.
Da questo incontro con Dio, mediante l’unico intercessore Gesù Cristo, nasce la fede ed è alimentata  la carità. “Fuori da questo corpo, da questa unità della Chiesa in Cristo, da questa Chiesa che è – portatrice storica dello sguardo plenario di Cristo sul mondo, come afferma Romano Guardini – la fede perde la sua misura, non trova più il suo equilibrio, lo spazio necessario per sorreggersi. La fede ha una forma necessariamente ecclesiale, si confessa dall’interno del corpo di Cristo, come comunità concreta dei credenti” (Lumen Fidei, 22).
La Parola di Dio nutre la fede e vuole trovare nell’uomo la sua incarnazione, come avviene  nell’Eucaristia e nei Sacramenti; una vita cristiana, senza rendere visibile la Parola ascoltata e pregata, è impensabile. Anzi è una contro-testimonianza.
La Parola di Dio però non trova la sua incarnazione, se prima non è contemplata e accolta nel “silenzio”della propria esistenza. “L’uomo, nella nostra società, è diventato un’appendice del rumore” afferma il filosofo-poeta e scrittore svizzero Max Picard. L’uomo contemporaneo non sa vivere il “silenzio”perché lo ritiene “assenza di qualcuno o di qualcosa”; quando invece scopre che il “silenzio è presenza misteriosa dell’Invisibile”allora se ne innamora e gli fa spazio nella vita.
L’arte dei Padri del deserto è “ascoltare il silenzio”, arte che va riscoperta nella vita personale e nella Liturgia, soprattutto nella Celebrazione Eucaristica, la quale si presenta talvolta caotica, frastornata da tante cianfrusaglie che non hanno niente di sacro e non servono a niente e a nessuno. Unica motivazione, se all’Eucaristia partecipano i ragazzi, è impegnarli nel “fare qualcosa”. Ma la Liturgia non è “arte del fare”, bensì “dono per essere”! Abbiamo bisogno di una pedagogia dell’ascolto che può prendere le mosse soltanto dal silenzio, dalla contemplazione silenziosa del mistero. E il silenzio è essenziale per la preghiera, come lo è per la vita. “La preghiera – ha detto il Savonarola che di discorsi appassionati si intendeva – ha per padre il silenzio e per madre la solitudine”. Occorre ritrovare, in questo tempo prezioso della Quaresima e della Pasqua, lo spazio dell’ascolto perché la Parola di Dio torni a portare frutto in noi; perché “nel silenzio è insito un meraviglioso potere di osservazione, di chiarificazione, di concentrazione sulle cose essenziali” (Dietrich Bonhoeffer).
Faccio proprio quanto il compianto mio predecessore, il vescovo Carlo, scriveva ai sacerdoti il 4 ottobre 2009 a proposito dell’Animazione Liturgica: “essa va curata con i canti e con il servizio”. Coro e organista, lettori e accoliti, chierichetti e ministranti vari, ciascuno è chiamato a svolgere il suo ruolo, “affinché il loro servizio non sia difforme e distraente. Nelle Parrocchie ci sono pochi chierichetti e ministranti. La loro presenza, oltre ad essere la forma di animazione tradizionale, è altresì occasione di proposta vocazionale”.
Anche il recente Convegno liturgico-pastorale dell’8 febbraio ha contribuito a riflettere sul mistero celebrato e i vari ministeri che da esso scaturiscono e con l’azione ecclesiale lo rendono presente.
Si tratta ora di applicare gli indirizzi scaturiti, lasciandoci guidare dai riti senza vuoti o eccentrici ritualismi, ma cogliendo lo spirito e l’arte del celebrare. Ad esempio: non si tratta di cantare nella celebrazione, ma di fare canti appropriati al tempo liturgico celebrato e alla Parola proclamata; si tratta anche di cantare alcune parti della celebrazione, perché “il cantare è proprio di chi ama” (Sant’Agostino) e la Celebrazione Eucaristica è incontro privilegiato dell’Amante con i suoi amati: sacerdoti e fedeli. Ciò che si deve cantare nella Celebrazione Eucaristica domenicale ce lo devono suggerire il Messale e il Lezionario, i due libri che guidano ogni assemblea liturgica e l’incaricato per la Liturgia deve preventivamente interpellare.
Il fine della Riforma Liturgica, voluta dal Concilio, è pastorale: l’azione rituale deve portare tutti i membri della celebrazione alla “piena partecipazione” del mistero. E’ l’obiettivo cristologico ed ecclesiale di ogni azione celebrativa;  è l’incontro spirituale che, di volta in volta, aiuta a trasformare l’esistenza umana.
Il periodo liturgico che ci sta davanti – il Triduo Pasquale, con il tempo quaresimale di attesa e la cinquantina che ne prolunga la gioia – è il cuore dell’Anno Liturgico, è la vetta di un cammino intenso di silenzio, di ascolto della Parola, di trasfigurazione della vita.
Auguro a tutti di profittare della grazia del Signore che ci viene incontro e, ancora una volta, ci invita a rileggere l’esistenza alla luce del Battesimo e ad uscire dalla “miseria morale e spirituale” ben più schiavizzante di quella materiale. Ci vengono offerti anche dei mezzi per combattere la concupiscenza e il peccato: il digiuno, la preghiera e l’elemosina (Mt 6,1-6.16-18); e il “Vangelo è l’unico antidoto per respingere l’allontanamento di Dio e il rifiuto del suo amore”, ci ricorda Papa Francesco con il Messaggio per la Quaresima 2014. Bisogna non abituarci alle situazioni di degrado spirituale e morale che spesso riscontriamo e che non ci stupiscono più. Non dobbiamo abituarci a vivere in una società che sempre più cerca di fare a meno di Dio. Dobbiamo reagire con uno stile di vita cristiana più vera e trasparente. La carità infine trovi applicazione nella vita: una carità fatta di gesti intelligenti e rispettosi della persona che bussa al cuore; gesti personali, familiari e comunitari che nascono da proprie rinunce e aiutano effettivamente chi vive nel bisogno. Senza dimenticarci dei gesti quotidiani di carità che si chiamano: sincerità, disponibilità, accoglienza, semplicità, perdono, amore.
Prometto a tutti il mio ricordo presso l’altare del Signore e a tutti domando la carità della vostra preghiera. Con la benedizione del Signore,
                                                                                        + don Luigi, vescovo
 
Civitavecchia, 5 marzo 2014 – Mercoledì delle Ceneri