Mercoledì Santo – Messa del Crisma
«Siamo chiamati a pensare la nostra vita incardinata alla missione: a rinunciare a noi stessi per conformarci all’amore di Cristo». Così il vescovo Gianrico Ruzza si è rivolto ai presbiteri, ai diaconi e a tutti i consacrati durante la Messa Crismale che ha presieduto mercoledì scorso nel Duomo di Tarquinia. Una celebrazione che mancava da molto tempo nella concattedrale della diocesi e che dalla comunità di Tarquinia è stata accolta con molta partecipazione.
«La consacrazione che abbiamo ricevuto e che oggi riviviamo nel memoriale – ha spiegato il presule – è un atto di amore che ha invaso la nostra vita e il nostro corpo per la relazione d’amore. Siamo chiamati alla vita di ascesi, di celibato e di povertà nell’obbedienza alla Parola e alla Chiesa perché siamo “centrati” nella relazione personale, intima e gioiosa con il Signore. Quanto è bello fare di questa relazione il fondamento della nostra esistenza e la luce quotidiana per essa!»
«Al presbitero – ha detto il vescovo – è affidata la più alta missione che l’uomo conosca: rappresentare la presenza viva di Cristo nella comunità e condurre l’uomo alla vera ed autentica libertà, quella dal peccato, introducendolo nella vita nuova»
Giovedì Santo – Messa “in Coena Domini”
Un dono fatto attraverso il servizio e un segno della presenza di Cristo: in questi due aspetti si esprime il significato dell’Eucarestia. A spiegarlo è stato il vescovo Gianrico Ruzza durante l’omelia della Messa «in Coena Domini» del Giovedì Santo. Molti i fedeli presenti alla Cattedrale di Civitavecchia per la celebrazione che ha segnato l’inizio del triduo pasquale nel giorno che ha visto anche la presenza di Papa Francesco a Civitavecchia per una visita privata nel Carcere di Via Aurelia.«Facciamo memoria che l’Eucarestia è dono nel servizio. Gesù ci insegna che Egli è servo per tutti, di tutti, in tutto. E lo è con umiltà», ha ricordato monsignor Ruzza.
«Ma Gesù ci insegna anche ad accogliere l’altro nella sua diversità: il dialogo con Simon Pietro ne è un esempio. Accetta la fatica ed il dubbio, li accoglie e li corregge. Con la lavanda dei piedi, inoltre, si offre come modello del servizio, come icona della carità».
«Gesù – ha spiegato il presule – col suo gesto viene a “fare verità”. Dice che i suoi discepoli sono puri, ma non tutti. Sa bene che la verità non si può tacere. E sa pure che i piedi sono da lavare perché sono a contatto col mondo che li corrompe e corrode, sono immersi nella realtà del peccato dell’uomo che invade le strade della storia». È Lui quindi che si offre per questo compito «lo fa dalla Sua cattedra di Maestro», testimoniando che «non c’è cosa alcuna che un servo non possa e non debba fare, non c’è situazione alcuna in cui non dobbiamo sentirci ricolmi di desiderio e pieni di disponibilità a metterci all’ultimo posto, quello degli schiavi».
Gesù invita i suoi discepoli a seguirlo «non per una imitazione formale e “obbediente”, ma per renderli partecipi del Suo Mistero e del Suo ministero». Per monsignor Ruzza «qui sta la radice del sacerdozio battesimale: essere servi di ogni uomo per accompagnarlo alla conoscenza dell’Amore di Dio che trasformerà la Sua vita. Così inizia la Pasqua e si compie il “passaggio” di Dio nella vita di ciascuno di noi».
Durante la celebrazione, monsignor Ruzza ha svolto la lavanda dei piedi a dodici persone, in modo particolare alla famiglia di Luca e Paola, con otto bambini, famiglia del cammino neocatecumenale rientrata da Kiev dove era in missione.
Venerdì Santo – Liturgia della Passione di Nostro Signore Gesù
Il tradimento, l’identità e la testimonianza sono i tre elementi che emergono dalla meditazione che il vescovo Gianrico Ruzza ha offerto durante la Liturgia della Passione del Venerdì Santo che si è svolta nella cattedrale di Civitavecchia. «Nel sacrificio – ha detto -, si configura l’opera della salvezza. La liberazione dal peccato passa necessariamente per l’offerta dell’amore crocifisso».
Il tradimento di Gesù «si consuma con un processo politico», con la scelta di Caifa prima e di Pilato in seguito. «Ogni volta che si condanna un innocente, ogni volta che la vita è disprezzata, ogni volta che la dignità umana è negata, ogni volta che la violenza prevale sull’innocenza, lì si compie il memoriale dell’offerta sacrificale di Gesù e lì si sta tradendo di nuovo il Figlio dell’Uomo». «Perciò – ha sottolineato -, l’umanità e tutti noi dobbiamo interrogarci sul rispetto per la vita. In tempo di guerra, questa è la parola che dobbiamo pronunciare, oltre “pace”: “dignità, rispetto, cura”. Perché la vita è dono e la persona è santuario dello Spirito».
Di fronte a Pilato emerge l’identità di Gesù «Re che è venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità». Con la sua vita «smonta un’idea che appartiene a Satana: quella di un Dio cattivo che non desidera la felicità dell’uomo. L’Amore che si immola sulla croce è l’unica risposta alla radice del peccato». Senza questa verità «l’uomo non coglie il senso della sua vita».
La redenzione, allora, «può consistere solo nel fatto che la verità diventi riconoscibile. Ed essa diventa riconoscibile, se Dio diventa riconoscibile in Gesù Cristo. In Lui Dio è entrato nel mondo ed ha con ciò innalzato il criterio della verità in mezzo alla storia».
Sul Golgota, infine «è eretta la croce a testimonianza di un Amore che non si è fatto imprigionare dalle logiche umane, dalle schermaglie della politica, dai calcoli dei potenti». Dove l’uomo ha ucciso Dio, sgorga «il grido d’amore che non eguali: ‘Tutto è compiuto!’, una testimonianza straordinaria».
L’evangelista spiega come «chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera». «Siamo pronti a dare testimonianza che è proprio quell’amore lì che ha preso il nostro cuore?».