«Ho servito la Chiesa e l’ho amata fino in fondo»

Nella Messa del Crisma il saluto del vescovo Marrucci

«Quella di oggi è l’ultima celebrazione con voi». Con un annuncio inaspettato, dato con la serenità e lo spirito di condivisione che ha sempre caratterizzato la sua esperienza alla guida della diocesi, il vescovo Luigi Marrucci ha comunicato ai presbiteri durante la Messa crismale che «mi corre voce che potrebbe essere vicina la nomina del mio successore».
Per questo, la celebrazione dello scorso 28 maggio che vedeva riuniti per la prima volta il clero e i religiosi della diocesi dopo il periodo di lockdown, è stata anche l’occasione con cui monsignor Marrucci ha concluso ufficialmente l’anno eucaristico diocesano, programmata inizialmente per il 13 settembre.
«Inoltre – ha detto – intendo aver celebrato con voi il cinquantesimo del mio sacerdozio, il decennale del mio episcopato con il saluto ufficiale a questa Chiesa che ho amato e servito con fedeltà».
«Vorrei dirvi, cari confratelli, che non mi sono servito di questa Chiesa ma ho servito la Chiesa e l’ho amata fino in fondo».
Il presule nell’omelia ha poi ricordato che «ci troviamo in questa nostra Cattedrale, cenacolo della Chiesa di Civitavecchia-Tarquinia, a celebrare l’amore di Dio, reso visibile in Gesù suo Figlio, nel quale siamo inseriti come “sacerdoti, re e profeti, – chiamati cristi, consacrati” – per essere dono alla Chiesa e al mondo intero».
Il vescovo ha poi sottolineato tre aspetti della consacrazione che avviene con gli olii «della gioia, della predilezione e della testimonianza».
Anzitutto, ha spiegato «l’unzione dona gioia e invia a portare letizia» in quanto «il cristiano è l’uomo della gioia; ancor più il sacerdote e quanti sono consacrati dal Signore».
«Nel presbiterio la gioia è data da una vita fraterna vissuta nella stima reciproca, nel lavoro ministeriale condiviso, nell’incontro e nell’aiuto fraterno con tutti, nella relazione serena con le persone alle quali è rivolto il ministero, dalla bellezza di saper riconoscere le proprie mancanze e quindi vivere la riconciliazione».
Monsignor Marrucci ha poi ricordato che il ministero ordinato è un dono del Signore, «gesto di predilezione da parte di Gesù, per cui il ministero non è una funzione, non un contratto di lavoro. Il sacramento dell’Ordine è “unzione di amore” per “rimanere con lui e in lui”». «Coltivare la trasparenza nelle relazioni, non essere locandieri ma samaritani dell’amore, vivere nella semplicità la vita sacerdotale, cercare la “perfetta letizia” nelle cose umili, soffrire per il Vangelo: questa è l’unzione di predilezione che ci ha consacrati».
«Ricordiamoci – ha poi aggiunto – che il cristianesimo è la fede che vive il dogma dell’Incarnazione, cioè di un Dio che diventa uomo rinunciando al suo potere e che non chiede più il sangue né degli uomini né degli animali, come nell’antichità, ma Lui stesso diventa carne e sangue, pane quotidiano, cibo per la vita di tutti i giorni di ciascun essere umano. E l’Anno Eucaristico aveva lo scopo di aiutarci a vivere questo mistero di Amore e di Comunione».
Da ultimo, il presule ha posto l’accento sulla testimonianza. «Battesimo e missione sono un dono e un mistero da vivere ogni giorno; siamo consacrati e inviati per essere testimoni credibili di una Persona: Gesù Cristo».
Per ravvivare questo dono occorre «intensificare l’incontro personale con Gesù Cristo nell’Eucaristia» e «vivere la comunione fraterna in un cammino pastorale condiviso e aperto alla solidarietà con tutte le persone che formano le nostre comunità parrocchiali».
«Essere discepoli-missionari vuol dire camminare insieme con grande capacità di ascolto che poi si fa dialogo. Richiede disponibilità a mettersi in discussione e a tracciare percorsi comuni. Una condizione necessaria è grande distacco da se stessi, apertura e disponibilità ad ascoltare insieme la voce dello Spirito».
«La storia della vocazione e la costante formazione nel cammino ministeriale, sono segnate da discernimento e da accompagnamento. E non può mancare la gioia della gratitudine, del saper riconoscere il bene che Dio ci offre attraverso le persone che ci ha messo accanto».
«Siamo chiamati – ha concluso – alla fecondità apostolica, alla “contemplazione nell’azione” per generare vite nuove al Signore e alla Chiesa».